29.9.09

What if...


La domanda "cosa sarebbe successo se" è alla base di ogni racconto di fantascienza che si rispetti. 
Un come Sliding Doors deve il suo successo proprio alla messa in scena di un classico what if.   
Persino la Marvel ha, per molti anni, pubblicato una serie incentrata sulle vicende ipotetiche dei suoi più famosi personaggi: cosa sarebbe successo se l'Uomo Ragno si fosse unito ai Fanastici Quattro? E se Capitan America fosse diventato Presidente degli Stati Uniti? E così via.
Ma quello del what if non è soltanto un espediente letterario: al contrario, è un esercizio che, volenti o nolenti, pratichiamo tutti. 
Quotidianamente. 
O, in ogni caso, più spesso di quanto possiamo immaginare.
Cosa sarebbe successo se quelle storie che inventavi da bambino quando giocavi con i Playmobil fossero diventate dei film? Cosa sarebbe successo se tuo nonno fosse rimasto ancora un altro po' di tempo a farti compagnia quaggiù anziché andarsene presto, troppo presto? E cosa succederebbe se quella ragazza dagli occhi scuri, occhi nei quali è tanto facile perdersi quanto ritrovarsi, ti dicesse sì?
Insomma, porsi domande di questo tipo è un gesto naturale.
Proprio come dormire. 
Proprio come sognare. 
Ma è anche un gesto che può rivelarsi estremamente doloroso.
Proprio come risvegliarsi nel bel mezzo di un sogno dal quale non vorremmo uscire mai.