26.10.11
Elogio di un giudice civile scritto da un giudice civile.
Allora, mi vedi?
No, non sono quello con la toga, in piedi, che arringa, nella speranza di riuscire, almeno per una volta, a mettere dentro qualcuno che non sia un extracomunitario, o l’ultimissima ruota del carro della vendita al dettaglio di stupefacenti.
E nemmeno uno di quei tre che gli sta seduto di fronte, ad ascoltarlo sonnecchiante.
No, non mi trovi nelle aule grandi, quelle col gabbiotto e la scritta in bella mostra “La legge è uguale per tutti”.
Di solito la mia aula di udienza è nella parte più squallida del tribunale, talvolta relegata in una struttura a parte, quasi a voler rimarcare, in maniera plastica, la distanza che c’è tra la giustizia civile e quella penale. O meglio, tra la giustizia civile e la Giustizia. Punto.
Molte volte la mia aula di udienza assomiglia al box 4x4 in cui è costretto a lavorare l’impiegato di un call-center, altre volte all’ufficio ampio e confortevole di un dirigente aziendale, altre volte ancora, come nel mio caso, ha l’aspetto retrò di un salotto in stile anni ’70.
Che importanza ha? - Mi dirai,
Nessuna. - Rispondo io.
Perché che tu faccia udienza ai piani alti di un palazzo di acciaio e vetro, o tra le quattro mura di un condominio sei e resti un giudice di guerra.
Sì, perché il giudice civile è un giudice di guerra. Nel senso letterale del termine.
Cosa fa, in fondo, se non intervenire nel bel mezzo di un conflitto?
E guarda che non parlo di conflitto così, tanto per dire, tanto per fare scena.
Hai mai provato a metterti in mezzo ad una lite, anche la più stupida, tra due condomini?
Ah, sì? Beh, ritieniti fortunato ad essere ancora in piedi.
Ma non credo tu abbia mai provato a metterti in mezzo a due coniugi, arrivati alla fine della loro strada insieme.
Amico, ti assicuro che sono cazzi.
Quelli sono in grado di travolgere come un caterpillar qualunque cosa si trovi sulla loro strada. Anche dei ragazzini innocenti che hanno commesso il solo errore di trovarsi al posto giusto nel momento sbagliato.
Roba che, per convincerli a tornare insieme o, quanto meno, a non lasciare troppi cadaveri sulla loro strada, dovresti andarci in assetto tattico da battaglia. Con tanto di psicologi, mediatori familiari, assistenti sociali e videocassette zeppe di puntate registrate di “C’è posta per te”.
Ed invece ti ritrovi ad affrontarli da solo, con in mano un codice, un foglio e una penna. E nelle tasche un pò di pazienza. Tanta pazienza, va. Che è meglio.
Inizi a capire di cosa stiamo parlando?
Sì, esatto. E’ più qualcosa tipo le missioni dei caschi blu.
Esattamente come loro interveniamo in pieno conflitto.
Esattamente come loro lo facciamo con armi spuntate.
Esattamente come loro abbiamo l’obiettivo dichiarato di portare la pace, o, quantomeno, un ragionevole compromesso.
Ma, a conti fatti, esattamente come loro, l’unica cosa che possiamo fare, il più delle volte, è cercare di tirarci fuori dalla guerra facendo meno danni possibile. Ed affermando principi e regole che, nella maggior parte dei casi, resteranno lettera morta.
Ma per fortuna fare il giudice civile non è soltanto questo.
E’ anche prendere coscienza del fatto che la verità non esiste.
Cosa dici? Hai ragione, sono d’accordo. Non c’era bisogno di mettersi a fare il giudice civile per imparare questa banalità.
Ma, forse, c’era bisogno di fare il giudice civile per capire fino in fondo quanto fosse vera questa banalità.
D’altronde, si dice che ogni luogo comune sia tale perché contiene un fondo di verità.
In questo caso, te lo assicuro, c’è molto di più di un fondo.
Hai mai visto Rashomon, il film di Kurosawa? Beh, io sì e lo trovo straordinario. Ogni volta che lo guardo. O meglio, ogni volta che lo guardavo. Perché, da quando faccio il giudice civile, non riesco più a guardarlo. Non è che non mi piaccia più, è soltanto che... è come se lo guardassi continuamente.
Ogni giorno.
E non per una sola volta al giorno. Ma almeno dalle venti volte in sù.
Succede ogni volta che apro un fascicolo. Leggo l’atto di citazione ed esclamo tra me e me: “Cazzo! Come hanno potuto fargli questo? Questo Tizio ha ragione da vendere!”. Poi inizio a leggere la comparsa di risposta e vedo le mie certezze vacillare come quelle di uno spettatore che si è appena alzato dalla sala dopo la fine di Inception.
Insomma, è come se ogni volta che apri un fascicolo assistessi ad un remake di Rashomon. Soltanto con un’ambientazione diversa.
Ed ogni volta che lo richiudi l’unica certezza che puoi sperare di avere è di averci provato in tutti i modi ad avvicinarti alla verità. Che, molto probabilmente, se ne sta acquattata da qualche parte, lontano dalle carte.
Sì, lo so. E’ frustrante. Ma chi ha mai detto che quello del giudice civile è un lavoro pieno di soddisfazioni?
Però, in fondo, una piccola soddisfazione c’è. Quando una persona si avvicina a te, in un qualunque tipo di discussione, che si tratti di politica, di economia, di religione, o delle eliminazioni agli ultimi provini di X-Factor, e ti sciorina certezze manco fossero pop-corn, dentro di te sorridi, provando un misto di commiserazione ed invidia per quella persona che è ancora tanto convinta delle sue verità.
Che è ancora tanto convinta dell’esistenza della Verità.
Ok, ho capito. Non ti basta.
Giustamente, hai letto la parola elogio nel titolo e ti aspettavi un panegirico.
Fammici un attimo pensare e ti dico qualcosa di positivo sul fare il giudice civile.
... ... ...
... ... ...
... ... ...
Ecco! Trovato! Facendo il giudice civile svolgi un lavoro utile alla società.
Non ti piace? Neanche a me. Suona banale. E poi, tutti i giudici, anche i pubblici ministeri ed i giudici penali svolgono un lavoro tendenzialmente utile alla società.
... ... ...
Ecco, ho trovato.
Facendo il giudice civile acquisisci capacità di direzione del traffico degne di quelle dei vigili urbani. Ma non di un vigile urbano qualunque, eh? Pensa, chessò, al vigile urbano che sta all’incrocio tra Piazza Venezia e via del Corso. Sì, quello che imita Albertone. Ecco, facendo il giudice civile diventi in grado di gestire persino un incrocio come quello. Ogni udienza, in fondo, è anche un’attività di smistamento del traffico. Un test per mettere alla prova le tue capacità vigile urbano in pectore: solo che al posto delle macchine ci sono i fascicoli. Ed alla guida gli avvocati, incazzati, a volte giustamente, altre volte senza un valido motivo apparente. Proprio come gli automobilisti.
Troppo poco?
Beh, allora potrei dirti che ogni fascicolo ti costringe a riaprire i libri che ti eri illuso di aver messo a prender polvere nella libreria di casa ed a rimetterti a studiare, per verificare se le tue poche certezze giuridiche sono state o no spazzate via dall’ultimo orientamento della Cassazione.
Riprendere i libri.
Rimetterti a studiare.
Suona da sfigati, eh? Hai ragione.
... ... ...
Beh, allora senti questa: studiare un fascicolo e risolvere il relativo caso è avvincente come leggere da capo a fondo un numero de “La Settimana Enigmistica”.
Come dici? Non ti convince. Mi sa che anche stavolta hai ragione. E poi, non so tu, ma io mi sono sempre fermato al terzo rigo del cruciverba in prima pagina, quello con la foto del personaggio da indovinare.
Sotto questo punto di vista, credimi, un fascicolo civile è molto più avvincente.
A meno che non si tratti di una divisione ereditaria, ovviamente.
... ... ...
Allora, senti questa: facendo il giudice civile hai la possibilità di indossare, di volta in volta, i panni del medico, dell’architetto, dell’ingegnere, dello psicologo e così via. Persino, se hai culo, quelli dell’agronomo.
Come dici? Beh, confesso che non posso darti torto.
In effetti, se volevi fare il medico, l’ingegnere, o l’architetto non ti mettevi a studiare legge.
Nulla da obiettare.
Non fa una piega.
Insomma, devo essere sincero.
Non posso dirti che quello del giudice civile sia un lavoro dinamico, come quello di chi conduce un’inchiesta.
Né che sia avvincente e carico di suspense come cercare di individuare il colpevole di un delitto.
Però, forse, una piccola cosa posso dirla.
Stare lì, dietro alla scrivania, senza rialzi, divisioni formali, steccati o distanze artificiali, con le persone che siedono di fronte a te, spesso ti accerchiano, e parlano e gridano e si lamentano e qualche volta piangono, nella speranza che tu possa fare per loro ciò che fino a quel preciso momento nessuno è stato in grado di fare, significa prendere la rincorsa e, nudi, senza l’aiuto di pinne, fucili ed occhiali, fare un bel tuffo.
Per immergersi dentro all’umanità. Fino in fondo.
E scusami se ti sembra poco.
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