Come si scrive la canzone pop
perfetta oggi, nell'ottobre 2014?
Così:
Regola n. 1: la canzone pop perfetta è quella che riesce ad essere al passo coi tempi.
Regola n. 2: la
canzone pop perfetta è quella che riesce ad essere al passo coi tempi
senza dimenticare quello che è c’è
stato fino all’altro ieri e lasciando intravedere quello che verrà.
In questo senso il pezzo del famoso dj francese è perfetto: la base, suonata inizialmente
da un pianoforte che presto lascia il passo a sintetizzatori e chitarre
distorte, ha un ritmo sincopato, perfetto per descrivere la frenesia di un’epoca che ha
fatto della velocità il suo totem indiscusso.
Ma questo solo se ci si ferma ad un primo ascolto superficiale
e, per l'appunto, veloce.
Perché la linea melodica di fondo fatta
di sintetizzatori evoca reminiscenze passate: i mai sufficientemente rimpianti
anni '80.
Ed innesca un cortocircuito con l'immaginario cinematografico
degli ultimi anni, dove sempre più
spesso sono questo tipo di suoni a farla da padroni.
Pensate alla canzone sui titoli di testa di Drive, subito dopo
la rapina iniziale tutta ripresa in soggettiva nella prospettiva del guidatore,
con la macchina da presta che stringe sulle mani di Ryan Gosling salde al
volante.
E non solo: c'è, nella linea di chitarra che sostiene l'intera
canzone del dj mangiarane, che si ripete come in un loop infinito, anche un
richiamo al suono di altri dj che hanno, con la loro musica, rotto ogni
barriera tra musica dance e pop, come i Daft Punk.
E poi, beh poi, c'è tutta la contemporaneità che
una canzone pop degna di questo nome deve avere: il ritornello fatto di poche
parole efficaci ripetute in maniera quasi ossessiva ("I don't know where the lights are taking us/But something in the
night is dangerous/And nothing's holding back the two of us/Baby this is
getting serious/Oh oh oh/Dangerous/Oh oh oh").
Il cantato al confine col rappato.
La voce di Sam Martin, facilmente riconoscibile, eppure non catalogabile
in maniera netta né nella
musica pop, né in quella
dance.
Probabilmente perché
riconducibile ad un altro tormentone degli ultimi mesi perfetto ibrido dei due generi.
Ammesso che abbia ancora un senso parlare di pop e dance come di
due generi diversi.
Perché, se c'è una
cosa che Dangerous dimostra, o meglio conferma, è
che se vogliamo ascoltare della buona musica pop, o meglio, della grande
musica pop, non dobbiamo più guardare
alle popstar e alle rockstar tradizionalmente intese.
Ma ai deejay.
Specie da quando il brit-rock è
sparito, definitivamente affossato dalle risse tra i fratello Gallagher
e dalle evoluzioni (?) dei Radiohead e del Damon Albarn solista.
Specie da quando chi provava a fare del buon pop con un minimo
di personalità (i primi Maroon 5 su tutti) ha scelto di abbandonare la strada
intrapresa per consacrarsi a vocoder e sintetizzatori (non a caso due marchi di
fabbrica della musica dance degli ultimi quindici-vent'anni).
E allora non è un
caso Chris Martin, uno che ha perso la moglie ma non la capacità di
scrivere canzoni pop, per arrivare in cima alle classifiche con il cupo e
malinconico Ghost Stories si sia rivolto ad Avicii per portare a casa il più classico degli specchietti perle allodole.
E che gli U2, pur essendosi intrufolati negli IPhone di mezzo
mondo come un Trojan qualsiasi, non riescano a sfondare davvero pagando
l'assenza di un tormentone in grado di trascinare il loro ultimo cd.
Forse proprio perché, persi nel loro pellegrinaggio
dai produttori più in voga
del momento (Ryan Tedder e Paul Epworth), si sono dimenticati di bussare alla
porta di un deejay.
Nessun commento:
Posta un commento