Ogni giorno, da qualche parte nel
mondo, milioni di sogni vengono uccisi.
E ad ucciderli, il più delle volte
senza neanche rendercene conto, siamo noi.
A pensarci bene, basta davvero poco
per farlo.
Basta che la persona con la quale
viviamo, o semplicemente le persona con cui ci interfacciamo durante la
giornata, ripongano in noi una speranza specifica, l'aspettativa di un
determinato comportamento. E non parlo dell'aspettativa di chissà quale azione
miracolosa, o di quale gesto memorabile. Si può trattare anche di gesti
stupidi, elementari. "Vorrei tanto che oggi la mia compagna mi svegliasse
portandomi il caffè al letto".
"Spero che mio figlio mi dedichi
cinque minuti del suo prezioso tempo".
"Sarebbe bello se mio marito, al
ritorno dal lavoro, mi abbracciasse e mi stringesse forte, come faceva
all'inizio, quando ci amavamo ancora".
Nulla di sensazionale. Pensieri
naturali.
Umani.
Che generano aspettative. Speranze.
Desideri.
Sogni.
Magari piccoli. E fragili.
Così fragili che basta davvero poco a
spazzarli via.
"Che hai? Perché quella
faccia?"
"Non è niente, è soltanto che
stamattina ho fatto più fatica del solito ad alzarmi (e speravo mi portassi
il caffè al letto, ma non è andata così. Stupido io ad aspettarmi qualcosa di
diverso dal solito)".
"Quindi devi uscire di
nuovo?"
"Sì, papà. Ho una festa. Lo
avevi dimenticato?"
"Sì, probabilmente sì (e
invece no. Non ho dimenticato proprio un bel niente. E' che non parli mai con
me, forse lo avrai detto a tua madre. Ma non fa niente. Magari domani sera non
avrai impegno. E parleremo. E ti racconterò dell'idea che mi è venuta: andare
insieme allo stadio, come quando avevi otto anni e ci andavamo insieme ogni
domenica)".
"Che hai?"
"Giornata di merda al lavoro.
Sono stanco. Ho bisogno di farmi una doccia, e di stendermi un po'.
"Dai, riposati".
"Dovevi dirmi qualcosa?"
"No, nulla. Nulla di importante
(e quando mai lo è, lo sono, importante, io, rispetto a te, rispetto al
lavoro, rispetto a tutto il resto. Però è stato bello sognare, anche solo per
un attimo, che tornassi dal lavoro diverso, che mi abbracciassi, che mi
stringessi, che mi facessi capire quanto sono ancora importante per te. O forse
no. Forse non lo è stato affatto, bello. Perché adesso mi sento stupida,
cretina, ad averlo sperato. Vuota. Delusa. E tutto per aver immaginato qualcosa che non è successo)".
Insomma, basta poco.
Davvero poco. Per uccidere un sogno.
Per ferire, senza neanche
accorgercene, chi ci sta a fianco.
Per aprire una piccola crepa che,
giorno dopo giorno, delusione dopo delusione, disillusione dopo disillusione, è
destinata ad allargarsi sempre di più.
Fino a diventare una voragine.
Una voragine larga quanto lo spazio
che separa i sogni dalla realtà.