7.9.16

L'olocausto dei piccoli sogni.


Ogni giorno, da qualche parte nel mondo, milioni di sogni vengono uccisi.
E ad ucciderli, il più delle volte senza neanche rendercene conto, siamo noi.
A pensarci bene, basta davvero poco per farlo.
Basta che la persona con la quale viviamo, o semplicemente le persona con cui ci interfacciamo durante la giornata, ripongano in noi una speranza specifica, l'aspettativa di un determinato comportamento. E non parlo dell'aspettativa di chissà quale azione miracolosa, o di quale gesto memorabile. Si può trattare anche di gesti stupidi, elementari. "Vorrei tanto che oggi la mia compagna mi svegliasse portandomi il caffè al letto".
"Spero che mio figlio mi dedichi cinque minuti del suo prezioso tempo".
"Sarebbe bello se mio marito, al ritorno dal lavoro, mi abbracciasse e mi stringesse forte, come faceva all'inizio, quando ci amavamo ancora".
Nulla di sensazionale. Pensieri naturali.
Umani.
Che generano aspettative. Speranze. Desideri.
Sogni.
Magari piccoli. E fragili.
Così fragili che basta davvero poco a spazzarli via.

"Che hai? Perché quella faccia?"
"Non è niente, è soltanto che stamattina ho fatto più fatica del solito ad alzarmi (e speravo mi portassi il caffè al letto, ma non è andata così. Stupido io ad aspettarmi qualcosa di diverso dal solito)".

"Quindi devi uscire di nuovo?"
"Sì, papà. Ho una festa. Lo avevi dimenticato?"
"Sì, probabilmente sì (e invece no. Non ho dimenticato proprio un bel niente. E' che non parli mai con me, forse lo avrai detto a tua madre. Ma non fa niente. Magari domani sera non avrai impegno. E parleremo. E ti racconterò dell'idea che mi è venuta: andare insieme allo stadio, come quando avevi otto anni e ci andavamo insieme ogni domenica)".

"Che hai?"
"Giornata di merda al lavoro. Sono stanco. Ho bisogno di farmi una doccia, e di stendermi un po'.
"Dai, riposati".
"Dovevi dirmi qualcosa?"
"No, nulla. Nulla di importante (e quando mai lo è, lo sono, importante, io, rispetto a te, rispetto al lavoro, rispetto a tutto il resto. Però è stato bello sognare, anche solo per un attimo, che tornassi dal lavoro diverso, che mi abbracciassi, che mi stringessi, che mi facessi capire quanto sono ancora importante per te. O forse no. Forse non lo è stato affatto, bello. Perché adesso mi sento stupida, cretina, ad averlo sperato. Vuota. Delusa. E tutto per aver  immaginato qualcosa che non è successo)".

Insomma, basta poco.
Davvero poco. Per uccidere un sogno.
Per ferire, senza neanche accorgercene, chi ci sta a fianco.
Per aprire una piccola crepa che, giorno dopo giorno, delusione dopo delusione, disillusione dopo disillusione, è destinata ad allargarsi sempre di più.
Fino a diventare una voragine.
Una voragine larga quanto lo spazio che separa i sogni dalla realtà.

29.8.16

L'arrivo del tormentone triste e la fine dell'estate


- A che pensi?
- A niente.
- Non è vero. Sei pensieroso. E' successo qualcosa.
- E' l'estate. Sta finendo.
Ci sono cose che non cambiano.
Capaci di farti lo stesso effetto sempre.
Che tu abbia dieci, quindici, venti o trentotto anni, come nel mio caso.
L’avvicinarsi della fine dell’estate è una di quelle.
Da ragazzino stavi male, l'estate che finiva era poco meno di un apocalisse: i compiti per le vacanze, che non avevi toccato per tre mesi, preferendogli il Texone e gli speciali estivi della Bonelli. Dover rimettere la sveglia, la mattina presto. L'inizio della scuola.
Da studente universitario non cambiava granché: gli esami da preparare o da finire di preparare. Le corse contro il tempo per colmare – o almeno provare a colmare – lacune di preparazione, grandi come un buco di sceneggiatura di un qualunque blockbuster americano uscito negli ultimi dieci anni. E poi l'elenco dei buoni propositi, stilato, stampato e messo in bella vista, prima di finire accartocciato ad affollare il cestino dei sogni morti prematuramente.
Poi cresci (si fa per dire), trovi l'amore e anche una cosa che ad averla in Italia hai quasi vergogna di nominare: il lavoro. Qualcosa di più simile al primo premio di una lotteria che ad un diritto sancito dall'articolo uno della Costituzione.
E pensi che tutto è cambiato e che, in fondo, della fine dell'estate te ne fotte. E te ne fotterà.
Invece non è così.
Eppure la scuola è finita.
Gli esami anche, con buona pace di Eduardo.
E allora perché questa malinconia?
Perché questa sensazione di qualcosa che sfugge e che, se tutto va bene, non ritroverai prima di un anno?
Perché, inutile girarci intorno, l'estate, quando è davvero estate, è la stagione dei sogni. Della libertà.
Della spensieratezza.
E più ti rilassi, più riesci a staccare dai problemi quotidiani, dal lavoro, e da tutto quanto, più l'avvicinarsi del ritorno alla quotidianità ti fa paura, ti mette ansia.
Ci sono cose che non cambiano.
E che tu abbia dieci, quindici, venti o trentotto anni, ti fanno lo stesso effetto.
Ti fanno lo stesso male.
Come l’arrivo di un tormentone triste che ti ricorda che l’estate sta finendo.
E che alla porta sta bussando la realtà