27.1.07

Il dio dei Luoghi Comuni.


Seduto al tavolino di un bar, sfoglio il quotidiano.

L’inverno più caldo degli ultimi centocinquant’anni”.

Il tempo sta impazzendo”.

Cerco la ciliegina sulla torta, l’intramontabile “Non esistono più le mezze stagioni”, ma non lo trovo. Per fortuna i redattori non hanno ceduto alla tentazione di questo ennesimo luogo comune.

Chiudo il giornale.
Mi guardo intorno.
Al tavolino nell’angolo a sinistra un uomo e una donna si cercano e si trovano.
Coi loro sguardi.
Lei sarà più giovane di almeno 4-5 anni di lui. Oppure lui dev’essere 4-5 anni più grande di lei. Dipende dai punti di vista.
Ma la sostanza non cambia.
Incarnano un luogo comune, anche se non lo sanno, anche se in questo momento è l’ultima cosa a cui stanno pensando.

Nell’angolo opposto un ragazzo. E una ragazza. Avranno più o meno la stessa età.
Si tengono a distanza. C’è come un muro tra di loro.
Si cercano.
Ma non si trovano. O forse non provano nemmeno, a cercarsi. Magari per paura di trovarsi.
Giurerei che tra loro c’è una forte amicizia. Probabile che siano anche loro vittime (o carnefici?) di un luogo comune.
Un altro luogo comune.
Com’è che faceva quella canzone? La regola dell’amico non sbaglia mai… E poi dicevano che le canzoni di Pezzali erano piene di banalità.

E allora penso. Che se c’è un Olimpo degli dei, dev’esserci una divinità, lassù, che ogni giorno diventa sempre più grande, sempre più forte.

È il dio dei Luoghi Comuni.

Come fa a diventare sempre più importante, sempre più potente, sempre più influente sulle nostre decisioni, sulle nostre opinioni?

Semplice.

Lo alimentiamo noi.
Ogni giorno. Ogni istante. Ogni momento della nostra vita.
Con i nostri pensieri, con le nostre azioni.

Come facciamo?

Semplicissimo.

Non smentendolo mai. Anzi, dandogli sempre ragione.
Alzi la mano chi nella vita non ha mai avuto l’opportunità di smentire coi fatti un luogo comune.

E ripeto coi fatti, perché qui, con le parole, siamo bravi tutti…

Lo ha fatto?

La risposta nel 99% dei casi è no.
Ed è un peccato.
Un vero peccato.
Perché dev’essere bello, anche se per una sola volta, anche se per un solo istante, vedere il mondo girare diversamente. Girare al contrario.
Anche nelle nostre piccole cose.
Soprattutto nelle nostre piccole cose.

Pensateci un momento.

Fate come me.

Chiudete gli occhi.

Immaginate (scusa John...).

Quella donna, quella che ha 4 anni più di voi, non vi risponde picche dicendo - No grazie, io cerco una persona più grande di me, più matura di me.

La vostra migliore amica, quella per la quale avete sempre provato qualcosa in più di un sentimento d’amicizia, non si rivolge a voi dicendo - Sei un amico, tra noi non potrà mai esserci qualcosa più dell’amicizia.

Quelli che vi stanno passando davanti, al lavoro, in ufficio, non sono i soliti raccomandati, ma, semplicemente, delle persone più brave di voi.

Quella ragazza, quella bruttina, che al posto degli occhiali ha due fondi di bottiglia, il viso più butterato di quello Cassano (proprio come la biondina seduta di fronte a me, che ha preso a guardarmi insistentemente…) la prossima volta che si avvicinerà a voi la bacerete e magari, chissà, tra di voi potrà nascere anche qualcosa.

Capite? Non sto parlando di cose impossibili, ma di piccole cose. Piccoli luoghi comuni.

Forza! Potete farcela! Possiamo farcela! Ma che vuole ‘sta biondina? Perché continua a guardarmi? Mamma mia, mi sta fissando con sguardo sempre più concupiscente! Forse è meglio che vada, và…

Mi alzo.
Esco dal bar.
Rivolgo in alto lo sguardo.

E lo vedo, il dio dei Luoghi Comuni, in completo bianco, circondato da donne, guardarmi dall’alto verso il basso, sempre più sicuro di sé, sempre più pieno di sé.

He is back!


Come chi? E' Jack Bauer, il protagonista del serial 24, nonché l'agente segreto più cazzuto del mondo.

Se salissero su un ring a sfidarsi, lui e James Bond (vecchie e nuove incarnazioni), non ho alcun dubbio. Vincerebbe Jack.

E' l'utlima incarnazione dell'eroe americano, quello disposto a qualsiasi cosa pur di salvare il suo Paese dagli attacchi sferrati dal nuovo terrorismo.

Se pensate che sia un personaggio banale, allora non avete mai visto una puntata di questa straordinaria serie, sicuramente la più adrenalinica e drammatica tra quelle di "nuova generazione".
In un episodio di 24 accadono più cose che in mezza stagione di LOST.

Ho appena visionato i primi due episodi della sesta stagione e giuro che un incipit di una serie tv così incalzante, drammatico e ricco di colpi di scena non l'avevo mai visto.
Speriamo tutta la stagione rimanga sui livelli stratosferici di questi primi due episodi...

25.1.07

L'occhio della tigre.



L'Eldo Napoli batte il Fenerbahce vincendo 93 ad 88 in uno dei campi più caldi d'Europa (12.000 spettatori!)
Un'impresa memorabile che resterà nella storia.

Il segreto di questa vittoria?

Chi può dirlo.

Sicuramente un gran cuore e...
...l'occhio della tigre. Oggi non c'era uno dei nostri che nello sguardo non avesse quella luce particolare.
Grandi ragazzi!

21.1.07

L'Uomo Paggio.



- Allora che dici? Vuoi che ti porti a cena fuori? Magari in quel ristorante dove preparano il sushi e il sashimi... quello giù in centro, che ti piace tanto?
- Mmm... (con intonazione di Tipo A: tra il distratto e lo svogliato)
- Eh? Ti va? Oppure magari potremmo andare a teatro. C’è in cartellone quella tragedia greca recitata in latino… volevi vederla, no? Se vuoi, posso procurarmi un paio di biglietti.
- Mmm...(con intonazione di Tipo B: guarda che ho da fare. Non posso perdere molto del mio tempo prezioso ad ascoltarti ) Non so...
- Ah! Ecco! Senti che idea: prima andiamo a teatro, che per questo tipo di spettacolo vai matta. Poi andiamo a mangiare giapponese…
- Mmm... (con intonazione di Tipo C: non è malissimo l’idea. Però non è il caso che ti gasi più di tanto)
- ...poi, magari, se ne hai voglia, se non sei troppo stanca, dopo, potremmo andare vicino al mare. E passare lì un po’ di tempo insieme. Sai, io e te... da soli...
- Mmm... (con intonazione di Tipo D: mi sa che adesso stai esagerando. Stai attento che stai quasi per farla fuori dalla tazza...)
- Però decidi liberamente, eh? La mia è solo una proposta. Sei tu che devi decidere. Lo sai che con me non devi farti problemi…
- Mmm... Beh, facciamo così: direi che il teatro va bene. Ci tengo davvero tanto a vedere lo spettacolo che dici. Anzi, forse conviene che prenoti i biglietti...
- Certo. Appena poso il telefono lo faccio. E poi?
- Per dopo... sì, direi che potresti portarmi a mangiare giapponese. È proprio una buona idea. Sai che ne vado matta e non ci vado da molto tempo. Matteo mi portava sempre...
- ...ah. Bene. Quindi teatro, cena e poi potremmo...
- Veramente per dopo non so.
- ...ah.
- Magari... poi vediamo... Può essere che tra teatro e ristorante si faccia tardi. Poi, sai… oggi ho una giornata pienissima. Già sono stanca.
- Ah, sei stanca.
- Anzi, facciamo così. Dopo il ristorante mi riaccompagni a casa. Sai... domani mi aspetta una giornata pesante...
- B-bene. Ma, io intendevo... sai... magari darci qualche bacetto... due carezze... niente di particolare...
- Mmm... non so... No. Non credo sia il caso. Con Matteo mi sono lasciata da poco. E... io e te ci conosciamo da troppo poco tempo.
- Come? Ma se è da più di un mese e mezzo che usciamo insieme? Una sera sì una no ti porto a scorazzare in giro. Ti ho portata ovunque...
- No. Meglio di no. Per ora. Però non si può mai dire...
- ... ... ...
- Magari una di queste sere...
- Allora... a che ora passo a prenderti?

(Conversazione tipo tra esemplare di Uomo Paggio e Donna in posizione psico-fisica di supremazia)

Sì, lo confesso. Ho fatto parte anch’io della categoria. Ma ne sono uscito.
O almeno sto provando ad uscirne.

Cosa ho fatto di preciso?
Mah... niente di particolare... le solite cose... quelle che fanno tutti gli Uomini Paggi.

Messaggini, fiori, colazioni a casa...
Cosa? Ah... Me ne vergogno un po’ ma... Sì. È vero. Una volta anche una pizza a domicilio. Marinara con le acciughe, se non ricordo male.
Una sola volta però.

Come? Ah, sì. Anche qualche trasferta a vuoto. Vabbè non erano viaggi poi così lunghi e dispendiosi. Sì, certo, alla fine del secondo giorno, quella volta a Capri mi sono guardato allo specchio e mi sono chiesto cosa ci facessi lì.
Però era una situazione particolare.
L’Uomo Paggio che era in me aveva preso il sopravvento.
Tipo “L’esorcista”.
Posseduto dalla paggettudine.
Mica è così facile liberarsene?

Quanto mi è costato? Ma per chi mi avete preso? No. Non ci sto a piegarmi a questo bieco materialismo...
Comunque... diciamo un bel po’ di euro.
Non molti.
Ma nemmeno pochi.

E un mucchio di pensieri.
E parecchie notti in bianco.
E tanta salute.

Risultati? Non molti. Ma più di quanti immaginereste.
E poi... credo di avere imparato la lezione.

Forse.

Comunque... fatemi un piacere. Se, per caso, lungo la vostra strada, nelle vostre vite, doveste incontrare esemplari di Uomini Paggi, aiutateli.
Aiutateli a liberarsi.

Possono farcela.

Basta che proviate a farli ragionare. A far fare loro una semplice serie di calcoli. Tipo un’equazione.
Solo più semplice.

Diteglielo.

Che è inutile che fanno avanti e indietro per portarLe in giro vestiti da chaffeur. Tipo Ambrogio dei Ferrero-Rocher.
Che è inutile che comprano tutti quei regali.
Che è inutile che dilapidano i loro stipendi per offrire cene. E pranzi. E colazioni.
Che è inutile che studiano la notte per il giorno come intercettare i Loro gusti. Come essere sempre al passo con le Loro esigenze.
Che è inutile che diventano lettori, spettatori, amanti dell’arte, dell’architettura, intellettuali a tutto tondo.
Tanto non raggiungeranno mai nessun risultato con Loro.
Perché questo è il mesto destino che attende gli Uomini Paggi.
Poveracci!

Aiutateli.

Mi raccomando.

Ora, scusate, ma… devo andare… sta suonando il cellulare. Devo rispondere. - Ciao! Come stai? Allora che dici? Vuoi che ti porti a cena fuori? Magari in quel ristorante dove preparano il sushi e il sashimi… quello giù in centro, che ti piace tanto?

20.1.07

Una serie un mito.

Il 13 gennaio 1987 Italia 1 trasmetteva la prima puntata de "I ragazzi della terza c". Anche se con un pò di ritardo mi pare doveroso segnalare il ventennale di questa serie di culto mai eguagliata dalle fiction che hanno occupato il piccolo schermo in questi 20 anni. Che dire? Chicco Lazzaretti, Bruno Sacchi, Sharon, Elias e Tisini, Puccio, Ciro il cartolaio, nonchè il mitologico commendator Zampetti sono personaggi memorabili entrati a pieno titolo nell'immaginario collettivo. O almeno di tutti noi che all'epoca avevamo nove-dieci anni. Tanti auguri Terza C!

Una scossa per Bond.

Tra le diverse cose riuscite dell'ultimo Bond c'è sicuramente questo pezzo che accompagna i titoli di apertura. Dopo una serie di canzoni non proprio memorabili che hanno accompagnato le ultime pellicole dedicate all'agente segreto più famoso del mondo, finalmente una colonna sonora all'altezza dei classici del passato. Merito della presenza più massiccia delle chitarre accanto ai soliti archi e della voce roca dell'ex leader dei Soundgarden.

18.1.07

Tale e quale!


- Tale e quale prufessò, eh? Tale e quale propri'!

17.1.07

"Ho voglia che mi chiami principessa!"


Sei il mio tesoro. Devi essere te stesso.
(SMS n. 1)


Le donne che si possono incontrare nella vita possono essere suddivise in tre categorie: non romantiche, romantiche e finto-romantiche.

Sulle prime, nulla da dire: essere romantici non è necessariamente una qualità, e comunque considerarla o meno tale dipende in gran parte dai vostri gusti personali.
C’è chi ha un approccio con le cose, e quindi anche con le donne, schiettamente materialista e se ne frega del lato romantico di una storia d’amore.
Tanto meglio per voi. Forse non ve ne rendete conto ma siete mooolto fortunati.
E chi, invece, come il sottoscritto, tende ad idealizzare tutto (o quasi…) ciò che lo circonda e, di conseguenza, a cercare il lato più romantico nel rapporto con l’altro sesso.
È evidente, allora, che per me l’essere romantici è una qualità imprescindibile in una donna.
O, quanto meno, è un fondamentale motivo di attrazione.

Ciao… ma non mi regali più la mattina i tuoi pensieri o non ne hai più per me? Mi trascuri!
(SMS n. 2)


Quindi che tipo di donna cerco? A che tipo di donna guardo con maggiore interesse di solito?
Beh, anche per evitare di cadere in palese contraddizione con quanto appena detto, non posso che dire quelle romantiche, o meglio che mi “appaiono” romantiche (quest’ultima precisazione non è affatto priva di conseguenze….).
Se una donna ha un lato romantico o fortemente romantico finisco col restarne inevitabilmente attratto.

È più forte di me.

Non c’è nulla da fare.

Mi spiace. Sì, lo so… ti ho detto tante cose belle, ma… voglio sposarmi e… non credo tu sia la persona giusta per me. Davvero… mi dispiace.
(SMS n. 3)


Ne ho incontrate finora? Ahimé, temo di no.
Però posso dire di aver maturato una certa esperienza con la terza ed ultima categoria.
Quella delle finto-romantiche.
Il mio modestissimo parere su questa tipologia?
… … …
Se per caso avete la sfortuna di incontrarne una, o peggio ancora di innamorarvi di una di esse, vi do un consiglio: scappate!

Incominciate a correre.

Con tutto il fiato che avete in corpo.

E tornate a voltarvi indietro solo quando avete percorso almeno una quindicina di chilometri.

Non meno.

Come riconoscerle?
Non saprei.

Il problema è che si svelano dopo.

Quando è troppo tardi.
Quando vi hanno gettato talmente tanto fumo negli occhi che non siete più in grado di aprirli.
O, se ci riuscite, vi bruciano talmente tanto che non siete capaci di distinguere nulla.

Però un indizio posso fornirlo.
Diffidate di chi si riempie la bocca con la parola romanticismo.
Di chi ne parla troppo.


Ciao … ma allora? Ma non mi regali più la mattina i tuoi pensieri o non ne hai più per me? Dai… oggi ho voglia che mi chiami principessa!
(SMS n. 4)
Beh, io no. Proprio non ne ho voglia.

La "Preghiera" dei Bloc Party

A due anni di distanza dallo splendido "Silent Alarm" il gruppo inglese rivelazione torna con questa "The Prayer". Inizio con suoni distorti e voce ossessiva che ricordano i primi Cure. Poi l'esplosione con un ritornello orecchiabile in pieno stile new-wave. Promette bene in vista del nuovo album in uscita a febbraio. Interessante anche il video dalle atmosfere allucinate ad alta gradazione alcoolica. Da ascoltare e vedere.

15.1.07

L'ultima volta (II).


- Allora, mi dica signor…
- Visconti. Peter Visconti.
- … Visconti. In cosa posso esserle utile? Vuole una lettura delle carte in generale? Desidera che mi soffermi sulle solite cose che mi chiedono tutti, tipo lavoro, salute, amore? Sesso? O è qui perché le chiarisca qualcosa su eventi futuri specifici? Del tipo “guardi un po’ se la tresca con la mia segretaria verrà scoperta, se otterrò quella benedetta promozione, se mi conviene gettar via un altro po’ di soldi su quel dannato cavallo che mi ha già portato alla soglia della bancarotta…”
Erano seduti l’uno di fronte all’altro, Peter Visconti e Obada Monda Laranga, meglio conosciuto col nome d’arte di Professor Juarez. Il primo, fisico asciutto, capelli sale e pepe, il volto bruciato dal sole che doveva averlo inseguito per tutta la vita, tracciando sulla fronte linee che lo facevano apparire ben più vecchio dei suoi quarantadue anni. Anche seduto manteneva la postura elegante che il Professore aveva notato appena fatto ingresso nello studio. La gamba destra appoggiata sulla sinistra. La schiena dritta. Gli occhi azzurri a sostenere lo sguardo fiero. Il secondo, fisico tutt’altro che asciutto, con una pancia che si sforzava a tentare di nascondere tra le pieghe di una sahariana viola, sotto un vestito gessato che chissà quante migliaia di euro era costato e che tuttavia non riusciva a conferirgli l’eleganza e lo stile che avrebbe desiderato possedere ma che nessuno dei suoi ostentati acquisti gli avrebbe consentito di conseguire. Così, malgrado il gessato scuro su misura Dolce & Gabbana, i mocassini Gucci ed il vistoso Rolex dorato al polso, il Professor Juarez non possedeva neanche un po’ dello stile del suo interlocutore: nulla da fare. Gli abiti non gli evitavano di apparire così com’era: un uomo rozzo, volgare, col cranio rasato completamente e due occhi scuri decisamente sproporzionati per quel viso piccolo e tondeggiante, dal quale sembravano voler uscire ad ogni costo.
- Vede, Professore… non sono venuto fin qui per chiederle del futuro… - Peter Visconti stava per completare la frase quando Juarez, forse innervosito dall’atteggiamento troppo sicuro di sé dell’inglese e soprattutto (anche se non l’avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura…) dalla classe che mostrava di possedere pur indossando abiti sicuramente più dozzinali dei suoi, lo interruppe. – Forse ha sbagliato posto. Non ha letto la targa sulla porta? C’è scritto “vidente”. Predire il futuro è il mio mestiere. – Pur avendo alzato volutamente il tono della voce, il mago non ottenne granché: Peter Visconti, ignorando l’interruzione, esattamente da dove si era fermato, riprese - … ma per parlarle del passato.
- Cosa? Mi spiace signor Visconti, ma non ho tempo da perdere, ho altri clienti che mi aspettano e proprio non mi interessa sapere del suo passato. Se vuole ho il nome di un buon strizzacervelli. Credo ne abbia bisogno. – Sbraitò il professore. Stava per sollevare la cornetta del telefono quando il signor Visconti gli allungò la mano destra sul braccio, impedendogli di proseguire. – E’ inutile che chiama la segretaria. Se n’è andata. E sa perché? Perché non c’è più nessuno in sala d’attesa. Sono io il suo ultimo cliente… della giornata. Gliel’ha ripetuto poco fa, all’interfono, non ricorda?
- … … … - Ricordava perfettamente, il Professore, ora, eppure la vista di quell’uomo lo aveva turbato, al punto da impedirgli per un attimo di avere la piena memoria di quanto gli aveva detto soltanto pochi minuti prima Paula, la sua segretaria. – Sì, ricordo, ma… ho altri appuntamenti… fuori sede, devo andare. E lasci stare il mio braccio.
- Non si preoccupi, professore, non le farò perdere molto tempo. – Disse Visconti, ritraendo la mano dal braccio del mago, che, come rassegnato, si acquietò. – Vede, sette anni fa mi trovavo in vacanza in Italia. Ero a Roma. Con la mia famiglia: mia moglie, Christine ed i miei due figli, Sandra e Thomas.
- … … …
- In realtà erano tre. Ma allora il terzo, Richard, doveva ancora nascere. Era nel grembo di mia moglie. Avevamo trascorso una settimana intensa, a visitare musei ed a perderci tra le antiche rovine e tutte le bellezze offerte da quella città senza tempo. La vacanza stava per finire. Dovevo tornare a Manchester. Ci restava un ultimo giorno. Decisi di portarli al mare. Così ci recammo alla spiaggia di Serapo. – Al suono di quel nome, lo sguardo di Juarez, fino a quel punto del racconto svagato e perso, si accese. Visconti sembrò non farci caso o, cosa assai più probabile, finse di non farci caso, proseguendo la narrazione. – Sa… mio padre era nato da quelle parti e, pur vivendo in Inghilterra, quando poteva mi portava lì a passare l’estate. Eravamo lì. In spiaggia: io, mia moglie e i miei figli, tutti presi a divertirsi un mondo entrando ed uscendo dall’acqua, quando la mia vista cadde su una tenda blu sita ai margini della spiaggia. C’era un gran via vai di gente, che entrava e usciva da quella tenda, se lo ricorda? - Sorrise. - Del resto, come potrebbe non ricordarlo? Era lei l’attrazione nascosta sotto quella tenda. – Il mago non rispose, fissando con aria interrogativa il suo interlocutore. – Preso dalla curiosità, decisi di andare a vedere di che si trattava. Fuori alla tenda c’era un cartello: tarocchi, lettura della mano, premonizioni, colloquio con i defunti. L’elenco completo delle sue specialità. Identico a quello che c’è qui sotto. Solo il suo nome è cambiato. Allora si faceva chiamare “il grande Obada”. Sempre stato modesto, vero? - Sorrise Visconti fissando negli occhi il Professore. - Così decisi di entrare, dopo aver fatto un po’ di fila sotto il sole, per chiederle di, come le chiama lei…
- … le solite cose che mi chiedono tutti, tipo lavoro, salute, amore? Sesso? O le interessa sapere di eventi futuri specifici? - Adesso ricordava perfettamente, Juarez. Ogni dettaglio. La tenda. Il sole di quel giorno, prematuro ed eccessivo come un orgasmo inatteso. La gente in fila a chiedergli delle cose più strane. Ed infine quell’uomo col quale aveva voluto ricorrere ad uno dei suoi trucchi preferiti. Quello che chiamava il gioco delle tre carte. Ricordava bene quell’uomo, anche se all’epoca non aveva neanche un capello grigio. Gli era stato antipatico a pelle: troppo sicuro di sé, troppo “inglese”, troppo elegante, anche se vestito solo di un costume da bagno a slip (sì, doveva essere stata proprio quell’eleganza sottile e per niente ostentata a mettergli la luna di traverso non appena gli si era parato davanti).
- Soldi. Ho in ballo un grosso affare, su a Manchester, e vorrei sapere se… dalle sue previsioni… risulta che andrà in porto. - Aveva risposto l’inglese in un italiano perfetto che aveva innervosito ancora di più il mago. - Come fa un fottuto figlio di puttana inglese in vacanza a parlare italiano meglio di me che in questo paese vivo da cinque anni? - Si era domandato tra sé e sé. Sì, probabilmente era stato l’italiano perfetto a farlo uscire definitivamente dai gangheri. Se lo era proprio meritato, il gioco delle tre carte, aveva pensato il mago. - E’ in grado di farlo? - Rilanciò Visconti, disegnando un sorriso di sfida.
- In grado? Lei non crede nelle mie qualità?
- Certo… certo che ci credo. - Rispose l’inglese, disegnando nuovamente quel sorriso che il mago era deciso a strappargli dal volto.
- Allora non faccia lo spiritoso. Stia zitto. E ascolti. - Mischiò le carte, le tenne nel palmo della mano sinistra col dorso rivolto verso l’alto. - Ora alzerò una carta. Ci rivelerà se il suo affare andrà in porto o meno. Prima però dovrà darmi dei dettagli. Mi dica qualcosa in più su questo affare oppure non funzionerà. - L’inglese era in difficoltà, stava mentendo ed il professore ne era consapevole - … beh… si tratta di… un’affare… un’affare… in… borsa. Ma non posso aggiungere altro. Sa… segreto professionale. – Di nuovo quel sorrisetto stampato sul volto. Ma sarebbe durato ancora per poco, pensò il mago. Scoprì la prima carta del mazzo, e nel farlo, ne fece rovesciare un’altra sul tavolo (doveva sembrare involontario, ma non lo era, aveva provato e riprovato quella mossa decine di volte, specie anni prima, agli inizi della sua carriera, quando racimolava qualche spicciolo leggendo le carte in Piazza S. Maria di Trastevere). Anch’essa scoperta. La prima raffigurava una donna nuda, i cui seni erano parzialmente coperti da un grosso sacco rovesciato all’ingiù. – Guardi qui. – Disse il Professore, rivolgendosi all’inglese ed indicandogli il sacco disegnato sulla carta. - Le vede?
- Cosa?
- Le monete. Scendono dal sacco.
- Soldi?
- Proprio così: soldi. Tanti. Come se piovesse. Non escludo che potrà nuotarci. - Sorrise Juarez. E sorrise anche Visconti, in maniera molto più profonda e sincera di quanto avesse fatto fino a quel momento. - Incominciava a crederci. - Pensò il mago. - Bene. Il gioco delle tre carte. Sarebbe stato ancora più divertente del solito.
(2-continua)

8.1.07

L'ultima volta.


Professor Juarez. Era così che si faceva chiamare sui biglietti da visita fatti distribuire per le strade di Madrid. “Professor” Juarez. Malgrado non avesse messo piede in alcun istituto scolastico da quando aveva compiuto otto anni. Professor Juarez - Gran Vidente Africano - questo il sottotitolo del biglietto da visita che indicava quale fosse la specialità nella quale vantava il prestigioso titolo. Affermava di essere in grado di predire il futuro con una precisione estrema: avrebbe persino potuto fare delle previsioni giorno per giorno, proprio come quelle dei metereologi. - Lunedì ti succederà questo martedì quest’altro giovedì quest’altro ancora e… ah! Come? Il mercoledì? No, non l’ho dimenticato. Credimi, amico, è meglio che tu lo scopra da solo... - a volte si divertiva a stuzzicare così la curiosità dei numerosi clienti in modo da scucire loro altri soldi. Infatti, la verità era che, malgrado vantasse studi di cartomanzia presso i migliori maghi del pianeta, non c’era nulla di vero in quello che diceva. Le sue previsioni erano tutte cazzate. Le inventava di sana pianta. Squadrava il malcapitato di turno dalla testa ai piedi, pensando nel frattempo al modo migliore per rovinargli la giornata. E poi sparava il pronostico. Nessuna visione. Nessun criterio divino ad ispirarlo. Anzi, a dirla tutta, un criterio c’era: la simpatia che suscitava in lui chi gli chiedeva previsioni. Se si trattava di una donna affascinante, magari con un bel paio di gambe in mostra, che accavallava proprio nel momento di massima concentrazione del Professore, ossia quando avvicinava l’indice ed il pollice della mano destra all’altezza della fronte, un po’ più in su del naso fingendo di essere in preda a chissà quali mistiche visioni, allora avrebbe predetto il più roseo dei futuri possibili: tutto sarebbe andato alla grande, dall’amore alla salute al lavoro al sesso passando anche per le sfide di sudoku e gli sviluppi delle soaps seguite in tv. Se invece gli si siedeva davanti, come accadeva in quel momento, un uomo occhialuto, smilzo, emaciato, vestito con abiti così larghi che il suo esile corpo avrebbe potuto nuotarci dentro, dalla fronte bombata e larga, come se per la forma del cranio chi lo aveva generato si fosse ispirato ad una piramide capovolta, allora il Professor Juarez diventava estremamente severo nei suoi pronostici. Di più, diventava feroce: prediceva al povero malcapitato sciagure di ogni tipo ed in ogni settore, dalla tavoletta del cesso perennemente rotta alla morte prematura di familiari inclusi cani gatti canarini e pesci rossi passando per altre amenità standard come tradimenti della moglie con il migliore amico e licenziamenti improvvisi. Se poi, come in questo caso, il poveraccio gli rivelava di non avere moglie, né tanto meno figli ed anzi di essere alla disperata ricerca della prima per poter un domani concepire anche i secondi, allora il Professore si esibiva in uno dei suoi pezzi migliori: la finta.
Proprio così: la finta.
Scrutava l’uomo in viso, avvicinava le due solite dita alla fronte, chiudeva gli occhi ed iniziava a scuotere la testa in senso affermativo come a dire - Bene ok positivo ottimo - anzi, talvolta schiudeva le labbra appena un po’, quanto bastava per biascicare questi apprezzamenti. L’uomo che gli era seduto di fronte, allora, dopo aver accumulato una naturale tensione, cominciava a rilassarsi, asciugava il sudore dalla fronte sfruttando la lunga manica della giacca ed iniziava ad accennare ad un sorriso di soddisfazione. Purtroppo per lui, era un sorriso destinato a spezzarsi sul nascere, fermando le labbra come in preda ad una paresi: il Professor Juarez, come colto da improvvisa illuminazione, con un gesto perfettamente coordinato, che si divertiva a provare e riprovare più volte davanti allo specchio di casa, spalancava gli occhi, allargava le braccia, ciondolava con la sedia all’indietro e, contemporaneamente, incominciava a ruotare la testa da sinistra a destra disegnando una mezzaluna carica di presagi funesti. Certe volte aspettava che fosse il suo interlocutore, di nuovo irrigiditosi sulla sedia di fronte, a chiedergli cosa avesse visto. Altre volte, come in questo caso, preferiva sferrare subito il colpo - Mi spiace. Non vedo nulla di buono nel tuo futuro… Resterai solo. - In alcuni casi, però, lo sguardo perso e gonfio di tristezza del suo interlocutore lo spingeva ad un gesto di umana pietà. Come in questo caso. - Ne è sicuro? Non potrebbe guardare un po’ meglio quelle sue carte? La prego, io… credo molto in queste cose… nei suoi poteri divinatori. Un’amica mi ha consigliato di andare a consulto da lei. Le ha predetto eventi magnifici. - Gli chiese l’uomo-piramide con tono implorante.
- Come si chiamava? - Lo interruppe il mago.
- Chi?
- Come chi? La sua amica.
- Elisa. Guardi… forse se la ricorda - ed allungò una foto della donna al Professore. Che non impiegò molto tempo a ricordarsi della donna. - Una bomba. - Pensò il “vidente” - era così contenta delle sue previsioni, che gli aveva perfino chiesto di uscire. Lui, ovviamente non se l’era fatto ripetere una seconda volta e così erano finiti a letto insieme.
- Mi dispiace. - Disse il Professore, con un tono finto commosso anche quello preparatoad arte con metodi degni dell’actor’s studio. - Però… - forse spinto anche dalla benevolenza per la comune amica, fu colto da un gesto di pietà improvviso e raro, come abbiamo anticipato. - Però - disse - ho una notizia che mi auguro attenuerà il suo dolore. - L’uomo occhialuto, le mani sudaticce ripetutamente strofinate sulle gambe, come se quel gesto potesse liberare chissà quali energie positive, o più semplicemente per asciugarsi del sudore, il collo proteso in avanti, come se la piramide avesse improvvisamente iniziato ad oscillare (d’altronde come poteve restare immobile una piramide che ha la sua base nella punta?) muto ed ansimante ad attendere la risposta.
- Questo strazio non andrà avanti ancora per molto: le restano pochi mesi di vita. Ha un male incurabile. Mi spiace, ma, mi creda, nel suo caso non è poi così un male. - Disse sorridendo dentro di sé per aver dato al povero disgraziato il colpo di grazia. - L’uomo chinò il capo (evidentemente la piramide non era più in grado di reggersi), si alzò dalla sedia, si strinse nelle spalle e guardò il Professore. Ma forse “guardò” non è il verbo più adatto a descrivere quel che accadeva, gli occhi del povero malcapitato si erano ristretti fino a diventare così piccoli e vuoti, che dietro gli occhiali avresti giurato fossero rimaste solo le orbite. Fece per proferire qualche parola, ma senza riuscirvi. Voltò le spalle ed uscì dalla stanza.
Il mago attivò l’interfono per comunicare con Paula, la sua segretaria. - Chi c’è adesso?
- Un altro uomo. - Rispose Paula, dalla stanza accanto.
- Accidenti. Un poveraccio come quest’ultimo?
- No, non mi sembra. Ha un bell’aspetto.
- Ci penserò io a rovinarglielo.
- Potrebbe averlo già fatto in passato.
- Come?
- Dice di conoscerla.
- Qual’è il suo nome?
- Peter. Peter Visconti. Il nome non mi dice niente. E poi me lo ricorderei. Di clienti inglesi ne abbiamo pochissimi…
- Signore…
- Paula?
- Non credo sia inglese. Dall’aspetto direi… italiano o qualcosa del genere. E’ molto gentile, mi ha anche portato un cappuccino caldo. Mi ha raccontato di averla incontrata tanti anni fa. In Italia. Ha detto di essere qui per ringraziarla.
- Ringraziarmi? E di cosa?
- Di una sua previsione avverata. - Non aveva mai azzeccato una previsione, il Professor Juarez. Certo, poteva anche accadere, per un mero fatto statistico, che qualcuna delle sue strampalate predizioni si avverassero. Ma che qualcuno dall’Italia lo cercasse sino a Madrid per ringraziarlo, gli suonava proprio strano. Fottutamente strano.
- Sarà un mitomane. O mi avrà confuso con qualcun altro. - Non aveva mai azzeccato una previsione, il Professor Juarez.
- Vuole che lo faccia andare via? Guardi che è ben vestito, potrebb’essere un buon cliente… - Neanche per sbaglio.
- Ok. Fallo entrare. - Nemmeno una.
- Ok. Lo faccio accomodare. - Ed ora avrebbe scoperto quali conseguenze può provocare predire a caso degli eventi che poi si realizzano realmente.
- Entri pure, signor Visconti. - Risuonò nell’interfono la voce di Paula.
(1-continua)

7.1.07

Cadendo in basso.


Non sono un amante di Stephen King. Quando avevo circa diciotto anni ho provato a leggere alcuni suoi romanzi lasciandoli sempre a metà o comunque incompleti.
Ho sempre trovato ottimi i suoi spunti iniziali, ma non la prosecuzione, il modo di svolgerli. I suoi romanzi mi davano spesso l’impressione di girare a vuoto e, soprattutto, di non essere convincenti quando dall’orrore e dallo spavento iniziale si passava a spiegarne le ragioni.

Però…. è innegabile che sia uno scrittore che ha influenzato il nostro immaginario. Moltissimi films, non solo quelli direttamente ispirati alle sue opere, romanzi, fumetti risentono talvolta in positivo altre volte in negativo delle idee del “Re”.
È anche per questo che ho deciso di riprovare ad immergermi nel mondo di King (anche perché i gusti cambiano e può tranquillamente succedere che cose che dieci anni fa trovavo noiose adesso risultino molto più interessanti e viceversa…).

E così ho pensato di leggere e rileggere le opere (o almeno una parte) di Stephen King partendo dai romanzi di… Richard Bachman.
Sì perché tra il 1977 ed il 1984 il “Re” si è servito di uno pseudonimo per scrivere cinque romanzi: Ossessione, La lunga marcia, Uscita per l’inferno, L’uomo in fuga e L’occhio del male (tutti ad eccezione del primo disponibili in Italia in edizione tascabile). Sono romanzi in gran parte diversi dalle opere del “Re” con risvolti meno orrorifici e più fantascientifici (anche se un tipo di fantascienza realistica non inverosimile con spunti di partenza molto attuali…).
Anzi, in “Uscita per l’inferno”, l’elemento orrorifico è del tutto assente. King racconta la discesa agli inferi di un uomo comune durante la crisi energetica che colpì gli Stati Uniti nei primi anni ’70. Una discesa provocata dalla perdita del figlio, cui segue quella della moglie, del lavoro e, soprattutto, della casa. È un romanzo duro, che trasporta il lettore nella mente di un uomo che perde progressivamente tutte le proprie certezza ma che, al tempo stesso, ritrova anche delle emozioni che temeva di aver perso per sempre. Così verso la fine del romanzo l’autore descrive il cammino compiuto dal protagonista: “Aveva fatto cose che altrimenti non avrebbe mai fatto. Le gite in autostrada, libere e liberatorie come una migrazione. La ragazza e l’amore che aveva fatto con lei, la consistenza dei suoi seni così diversa da quella di Mary. Le conversazioni con un uomo che era un malvivente. L’essere stato finalmente accettato da quell’uomo come una persona degna di considerazione. L’esaltazione illegale del lancio di bottiglie ed il terrore soverchiante, quasi un senso di annegamento, quando aveva temuto che l’automobile non ce l’avrebbe fatta a risalire l’argine per portarlo in salvo. Emozioni intense che erano state ripescate dalla sua anima avvizzita come i reperti di un’oscura religione in uno scavo archeologico. Sapeva che cosa significava essere vivi”.

Sì, lo so che con questo passo ho spoilerato quasi l’intera trama del romanzo.

Ma questo è uno di quei libri in cui ciò che conta non è tanto “ciò” che accade.
Ma “come” accade.
Pur essendo privo di colpi di scena, il romanzo è pieno di momenti memorabili. I personaggi sono credibili, veri, nelle loro debolezze. Come il protagonista, per il quale finisci col provare sentimenti contrastanti. Come la descrizione di un’America che nella corsa per inseguire i suoi sogni ha finito col travolgere tante esistenze il cui unico sogno era solo quello di una vita “normale”.

King nell’introduzione dichiara di considerare questo romanzo il peggiore del lotto firmato Bachman.
Non ho letto ancora gli altri. Non so se sia effettivamente così.
Ma a me la lettura di questo libro ha lasciato qualcosa.
Una sensazione di disagio.
Un senso di angoscia.
Lampi di vitalità improvvisa.
E scusate se è poco.

1.1.07

Previously on 2006...


...ho visto una persona molto cara rifiutare l’invito della Vecchia Signora vestita di nero ed armata di falce.

...ho gareggiato per due estenuanti, lunghissimi giorni con addosso tanta paura di perdere.

E alla fine ho perso.

...ho visto un alieno solcare il parquet di un campo di basket facendo sembrare semplici le giocate più difficili.

...ho temuto, gridato, esultato ed infine pianto vedendo quell’alieno trascinare alla vittoria un gruppo di ragazzi straordinari lungo tre giorni che non dimenticherò facilmente.

...ho visto un’amicizia antica ma al tempo stesso moderna svuotarsi progressivamente fino a lasciare in piedi solo un freddo simulacro di essa.

...ho fatto un tuffo nei ricordi passeggiando in una città che ospitava proprio nel suo cuore (in senso letterale!) la più grande festa cui un amante dei fumetti possa desiderare di partecipare.

...mi sono emozionato, davanti al Grande Schermo, guardando un delitto finire, per i capricci della fortuna, senza castigo, la vendetta collettiva o personale sfociare solo nella violenza e nell’orrore più nero, persone di ogni angolo del mondo soffrire per l’incomunicabilità e due prestigiatori sfidarsi all’ultimo trucco ingannando il pubblico e persino la morte.

...mi sono entusiasmato davanti alla tv ed allo schermo del mio notebook scoprendo quanto possa essere difficile non solo spezzare le sbarre di un carcere di massima sicurezza ma anche evitare di farvi ritorno, fino a che punto possano intrecciarsi le esistenze, apparentemente distanti, di un gruppo di naufraghi, come sia cool e al tempo stesso frustrante essere, anche se solo per 24 ore, Jack Bauer e quanto sia disturbante e perversamente divertente finire nella mente di un serial-killer di nome Dexter.

...mi sono appassionato leggendo di un processo alla morte ai confini dell’universo, di quando Billy The Kid è tornato dall’aldilà solo per finire di nuovo nel mirino del suo vecchio amico/nemico Pat Garrett, degli emozionanti racconti di una persona chiamata S., di una coperta fatta di tanti brandelli diversi dove ognuno di questi non è altro che un pezzo di vita, e di un eroe senza paura tornare a far splendere, ancora una volta, la sua luce verde smeraldo nella notte più buia.


Grazie a tutti quelli che mi sono stati vicino in quest’anno pieno di ombre e con troppa poca luce.