15.1.07

L'ultima volta (II).


- Allora, mi dica signor…
- Visconti. Peter Visconti.
- … Visconti. In cosa posso esserle utile? Vuole una lettura delle carte in generale? Desidera che mi soffermi sulle solite cose che mi chiedono tutti, tipo lavoro, salute, amore? Sesso? O è qui perché le chiarisca qualcosa su eventi futuri specifici? Del tipo “guardi un po’ se la tresca con la mia segretaria verrà scoperta, se otterrò quella benedetta promozione, se mi conviene gettar via un altro po’ di soldi su quel dannato cavallo che mi ha già portato alla soglia della bancarotta…”
Erano seduti l’uno di fronte all’altro, Peter Visconti e Obada Monda Laranga, meglio conosciuto col nome d’arte di Professor Juarez. Il primo, fisico asciutto, capelli sale e pepe, il volto bruciato dal sole che doveva averlo inseguito per tutta la vita, tracciando sulla fronte linee che lo facevano apparire ben più vecchio dei suoi quarantadue anni. Anche seduto manteneva la postura elegante che il Professore aveva notato appena fatto ingresso nello studio. La gamba destra appoggiata sulla sinistra. La schiena dritta. Gli occhi azzurri a sostenere lo sguardo fiero. Il secondo, fisico tutt’altro che asciutto, con una pancia che si sforzava a tentare di nascondere tra le pieghe di una sahariana viola, sotto un vestito gessato che chissà quante migliaia di euro era costato e che tuttavia non riusciva a conferirgli l’eleganza e lo stile che avrebbe desiderato possedere ma che nessuno dei suoi ostentati acquisti gli avrebbe consentito di conseguire. Così, malgrado il gessato scuro su misura Dolce & Gabbana, i mocassini Gucci ed il vistoso Rolex dorato al polso, il Professor Juarez non possedeva neanche un po’ dello stile del suo interlocutore: nulla da fare. Gli abiti non gli evitavano di apparire così com’era: un uomo rozzo, volgare, col cranio rasato completamente e due occhi scuri decisamente sproporzionati per quel viso piccolo e tondeggiante, dal quale sembravano voler uscire ad ogni costo.
- Vede, Professore… non sono venuto fin qui per chiederle del futuro… - Peter Visconti stava per completare la frase quando Juarez, forse innervosito dall’atteggiamento troppo sicuro di sé dell’inglese e soprattutto (anche se non l’avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura…) dalla classe che mostrava di possedere pur indossando abiti sicuramente più dozzinali dei suoi, lo interruppe. – Forse ha sbagliato posto. Non ha letto la targa sulla porta? C’è scritto “vidente”. Predire il futuro è il mio mestiere. – Pur avendo alzato volutamente il tono della voce, il mago non ottenne granché: Peter Visconti, ignorando l’interruzione, esattamente da dove si era fermato, riprese - … ma per parlarle del passato.
- Cosa? Mi spiace signor Visconti, ma non ho tempo da perdere, ho altri clienti che mi aspettano e proprio non mi interessa sapere del suo passato. Se vuole ho il nome di un buon strizzacervelli. Credo ne abbia bisogno. – Sbraitò il professore. Stava per sollevare la cornetta del telefono quando il signor Visconti gli allungò la mano destra sul braccio, impedendogli di proseguire. – E’ inutile che chiama la segretaria. Se n’è andata. E sa perché? Perché non c’è più nessuno in sala d’attesa. Sono io il suo ultimo cliente… della giornata. Gliel’ha ripetuto poco fa, all’interfono, non ricorda?
- … … … - Ricordava perfettamente, il Professore, ora, eppure la vista di quell’uomo lo aveva turbato, al punto da impedirgli per un attimo di avere la piena memoria di quanto gli aveva detto soltanto pochi minuti prima Paula, la sua segretaria. – Sì, ricordo, ma… ho altri appuntamenti… fuori sede, devo andare. E lasci stare il mio braccio.
- Non si preoccupi, professore, non le farò perdere molto tempo. – Disse Visconti, ritraendo la mano dal braccio del mago, che, come rassegnato, si acquietò. – Vede, sette anni fa mi trovavo in vacanza in Italia. Ero a Roma. Con la mia famiglia: mia moglie, Christine ed i miei due figli, Sandra e Thomas.
- … … …
- In realtà erano tre. Ma allora il terzo, Richard, doveva ancora nascere. Era nel grembo di mia moglie. Avevamo trascorso una settimana intensa, a visitare musei ed a perderci tra le antiche rovine e tutte le bellezze offerte da quella città senza tempo. La vacanza stava per finire. Dovevo tornare a Manchester. Ci restava un ultimo giorno. Decisi di portarli al mare. Così ci recammo alla spiaggia di Serapo. – Al suono di quel nome, lo sguardo di Juarez, fino a quel punto del racconto svagato e perso, si accese. Visconti sembrò non farci caso o, cosa assai più probabile, finse di non farci caso, proseguendo la narrazione. – Sa… mio padre era nato da quelle parti e, pur vivendo in Inghilterra, quando poteva mi portava lì a passare l’estate. Eravamo lì. In spiaggia: io, mia moglie e i miei figli, tutti presi a divertirsi un mondo entrando ed uscendo dall’acqua, quando la mia vista cadde su una tenda blu sita ai margini della spiaggia. C’era un gran via vai di gente, che entrava e usciva da quella tenda, se lo ricorda? - Sorrise. - Del resto, come potrebbe non ricordarlo? Era lei l’attrazione nascosta sotto quella tenda. – Il mago non rispose, fissando con aria interrogativa il suo interlocutore. – Preso dalla curiosità, decisi di andare a vedere di che si trattava. Fuori alla tenda c’era un cartello: tarocchi, lettura della mano, premonizioni, colloquio con i defunti. L’elenco completo delle sue specialità. Identico a quello che c’è qui sotto. Solo il suo nome è cambiato. Allora si faceva chiamare “il grande Obada”. Sempre stato modesto, vero? - Sorrise Visconti fissando negli occhi il Professore. - Così decisi di entrare, dopo aver fatto un po’ di fila sotto il sole, per chiederle di, come le chiama lei…
- … le solite cose che mi chiedono tutti, tipo lavoro, salute, amore? Sesso? O le interessa sapere di eventi futuri specifici? - Adesso ricordava perfettamente, Juarez. Ogni dettaglio. La tenda. Il sole di quel giorno, prematuro ed eccessivo come un orgasmo inatteso. La gente in fila a chiedergli delle cose più strane. Ed infine quell’uomo col quale aveva voluto ricorrere ad uno dei suoi trucchi preferiti. Quello che chiamava il gioco delle tre carte. Ricordava bene quell’uomo, anche se all’epoca non aveva neanche un capello grigio. Gli era stato antipatico a pelle: troppo sicuro di sé, troppo “inglese”, troppo elegante, anche se vestito solo di un costume da bagno a slip (sì, doveva essere stata proprio quell’eleganza sottile e per niente ostentata a mettergli la luna di traverso non appena gli si era parato davanti).
- Soldi. Ho in ballo un grosso affare, su a Manchester, e vorrei sapere se… dalle sue previsioni… risulta che andrà in porto. - Aveva risposto l’inglese in un italiano perfetto che aveva innervosito ancora di più il mago. - Come fa un fottuto figlio di puttana inglese in vacanza a parlare italiano meglio di me che in questo paese vivo da cinque anni? - Si era domandato tra sé e sé. Sì, probabilmente era stato l’italiano perfetto a farlo uscire definitivamente dai gangheri. Se lo era proprio meritato, il gioco delle tre carte, aveva pensato il mago. - E’ in grado di farlo? - Rilanciò Visconti, disegnando un sorriso di sfida.
- In grado? Lei non crede nelle mie qualità?
- Certo… certo che ci credo. - Rispose l’inglese, disegnando nuovamente quel sorriso che il mago era deciso a strappargli dal volto.
- Allora non faccia lo spiritoso. Stia zitto. E ascolti. - Mischiò le carte, le tenne nel palmo della mano sinistra col dorso rivolto verso l’alto. - Ora alzerò una carta. Ci rivelerà se il suo affare andrà in porto o meno. Prima però dovrà darmi dei dettagli. Mi dica qualcosa in più su questo affare oppure non funzionerà. - L’inglese era in difficoltà, stava mentendo ed il professore ne era consapevole - … beh… si tratta di… un’affare… un’affare… in… borsa. Ma non posso aggiungere altro. Sa… segreto professionale. – Di nuovo quel sorrisetto stampato sul volto. Ma sarebbe durato ancora per poco, pensò il mago. Scoprì la prima carta del mazzo, e nel farlo, ne fece rovesciare un’altra sul tavolo (doveva sembrare involontario, ma non lo era, aveva provato e riprovato quella mossa decine di volte, specie anni prima, agli inizi della sua carriera, quando racimolava qualche spicciolo leggendo le carte in Piazza S. Maria di Trastevere). Anch’essa scoperta. La prima raffigurava una donna nuda, i cui seni erano parzialmente coperti da un grosso sacco rovesciato all’ingiù. – Guardi qui. – Disse il Professore, rivolgendosi all’inglese ed indicandogli il sacco disegnato sulla carta. - Le vede?
- Cosa?
- Le monete. Scendono dal sacco.
- Soldi?
- Proprio così: soldi. Tanti. Come se piovesse. Non escludo che potrà nuotarci. - Sorrise Juarez. E sorrise anche Visconti, in maniera molto più profonda e sincera di quanto avesse fatto fino a quel momento. - Incominciava a crederci. - Pensò il mago. - Bene. Il gioco delle tre carte. Sarebbe stato ancora più divertente del solito.
(2-continua)

Nessun commento: