7.1.07
Cadendo in basso.
Non sono un amante di Stephen King. Quando avevo circa diciotto anni ho provato a leggere alcuni suoi romanzi lasciandoli sempre a metà o comunque incompleti.
Ho sempre trovato ottimi i suoi spunti iniziali, ma non la prosecuzione, il modo di svolgerli. I suoi romanzi mi davano spesso l’impressione di girare a vuoto e, soprattutto, di non essere convincenti quando dall’orrore e dallo spavento iniziale si passava a spiegarne le ragioni.
Però…. è innegabile che sia uno scrittore che ha influenzato il nostro immaginario. Moltissimi films, non solo quelli direttamente ispirati alle sue opere, romanzi, fumetti risentono talvolta in positivo altre volte in negativo delle idee del “Re”.
È anche per questo che ho deciso di riprovare ad immergermi nel mondo di King (anche perché i gusti cambiano e può tranquillamente succedere che cose che dieci anni fa trovavo noiose adesso risultino molto più interessanti e viceversa…).
E così ho pensato di leggere e rileggere le opere (o almeno una parte) di Stephen King partendo dai romanzi di… Richard Bachman.
Sì perché tra il 1977 ed il 1984 il “Re” si è servito di uno pseudonimo per scrivere cinque romanzi: Ossessione, La lunga marcia, Uscita per l’inferno, L’uomo in fuga e L’occhio del male (tutti ad eccezione del primo disponibili in Italia in edizione tascabile). Sono romanzi in gran parte diversi dalle opere del “Re” con risvolti meno orrorifici e più fantascientifici (anche se un tipo di fantascienza realistica non inverosimile con spunti di partenza molto attuali…).
Anzi, in “Uscita per l’inferno”, l’elemento orrorifico è del tutto assente. King racconta la discesa agli inferi di un uomo comune durante la crisi energetica che colpì gli Stati Uniti nei primi anni ’70. Una discesa provocata dalla perdita del figlio, cui segue quella della moglie, del lavoro e, soprattutto, della casa. È un romanzo duro, che trasporta il lettore nella mente di un uomo che perde progressivamente tutte le proprie certezza ma che, al tempo stesso, ritrova anche delle emozioni che temeva di aver perso per sempre. Così verso la fine del romanzo l’autore descrive il cammino compiuto dal protagonista: “Aveva fatto cose che altrimenti non avrebbe mai fatto. Le gite in autostrada, libere e liberatorie come una migrazione. La ragazza e l’amore che aveva fatto con lei, la consistenza dei suoi seni così diversa da quella di Mary. Le conversazioni con un uomo che era un malvivente. L’essere stato finalmente accettato da quell’uomo come una persona degna di considerazione. L’esaltazione illegale del lancio di bottiglie ed il terrore soverchiante, quasi un senso di annegamento, quando aveva temuto che l’automobile non ce l’avrebbe fatta a risalire l’argine per portarlo in salvo. Emozioni intense che erano state ripescate dalla sua anima avvizzita come i reperti di un’oscura religione in uno scavo archeologico. Sapeva che cosa significava essere vivi”.
Sì, lo so che con questo passo ho spoilerato quasi l’intera trama del romanzo.
Ma questo è uno di quei libri in cui ciò che conta non è tanto “ciò” che accade.
Ma “come” accade.
Pur essendo privo di colpi di scena, il romanzo è pieno di momenti memorabili. I personaggi sono credibili, veri, nelle loro debolezze. Come il protagonista, per il quale finisci col provare sentimenti contrastanti. Come la descrizione di un’America che nella corsa per inseguire i suoi sogni ha finito col travolgere tante esistenze il cui unico sogno era solo quello di una vita “normale”.
King nell’introduzione dichiara di considerare questo romanzo il peggiore del lotto firmato Bachman.
Non ho letto ancora gli altri. Non so se sia effettivamente così.
Ma a me la lettura di questo libro ha lasciato qualcosa.
Una sensazione di disagio.
Un senso di angoscia.
Lampi di vitalità improvvisa.
E scusate se è poco.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento