No, non sono impazzito.
Sto soltanto citando l’incipit della canzone che ha portato ieri sera Daniele Silvestri sul palco dell’Ariston.
Potete ascoltarlo anche voi facendo partire il video qui sopra.
L’audio non è il massimo, ed è evidente il tentativo di coprire la frase in questione, ma se fate un po’ di attenzione riuscirete a sentire le parole incriminate.
Il pezzo è carino, nulla di eccezionale intendiamoci, a metà strada tra Arbore ed il Meneito, ma, grazie al ritmo caraibico ed al testo tutto giocato sulle assonanze, come è nelle corde del cantautore romano, c’è il forte rischio che diventi un tormentone…
E comunque, ritornando a quanto dicevo all’inizio, ha un merito enorme: quello di aver dato voce, senza giri di parole, a tutti quelli che, almeno una volta nella vita, si sono innamorati di una stronza. E sfido chiunque a dire che non gli è mai capitato…
La paranza… la paranza… è una danza che si balla con la latitanza…
28.2.07
"Mi sono innamorato di una stronza"
26.2.07
A Volte Ritornano...
…ed altre volte no.
Come agenti FBI sotto copertura.
Come preziosi testimoni di gravi crimini affidati a quei programmi di protezione in grado di recidere ogni legame con la propria identità passata.
Diventano introvabili.
Fanno perdere le proprie tracce, salvo riapparire come per magia se e quando la causa della loro sparizione viene meno.
Di chi sto parlando?
Degli scomparsi per fidanzamento.
Di quelli che hanno fatto parte di un gruppo di amici, con cui hanno condiviso momenti più o meno importanti, e che poi, tutto ad un tratto, novelli Jack Frusciante, ne sono usciti non per chissà quali dissidi o litigi, ma, molto più semplicemente, perché si sono fidanzati.
Come se all’atto del fidanzamento avessero sottoscritto una clausola che recita:“Non frequentare più i tuoi amici”.
A scanso di equivoci, chiariamoci: non c’è nulla di male nell’isolarsi un po’.
Anzi, penso che all’inizio di una storia sia naturale che due persone che si stanno conoscendo non cerchino altri che se stessi.
È fisiologico.
Dirò di più: credo sia una sorta di contro-prova del fatto che ci si sta innamorando in maniera seria e non superficiale.
Però…
…però penso anche che passati tre-quattro-cinque-sei mesi si possa anche, o quanto meno, tentare di coniugare le due cose. Provare a portare la/il ragazza/o nel gruppo (o il contrario, il che è un po’ più difficile…).
…però penso anche che non è possibile sparire completamente, ci vuole un minimo di misura, anche qui, come in tutte le cose. Basta farsi vivi ogni tanto, fare delle apparizioni, anche fugaci, quando si va al cinema, ad un aperitivo, in pizzeria.
Insomma, basta poco ad evitare quella tristissima pantomima che si verifica quando, dopo giorni-mesi-anni di silenzio, il tuo telefono squilla e senti la voce del ritornante di turno che ti dice:“Ehi, ciao, allora stasera che facciamo?”
Facciamo?!
Chi??!!
N O I???!!!
Comunque ora siete avvisati, lo sapete che, se nei prossimi tempi parlerò soltanto tramite il mio portavoce o mi farò vivo solo su queste pagine, sarà perché mi sto innamorando.
25.2.07
Io tifo "Babel".
Stanotte a Los Angeles si assegneranno gli Oscar.
Tra le pellicole candidate a Miglior Film non posso che fare il tifo per quella diretta dal messicano Inarritu.
Un film realizzato con una gran tecnica, ma con dentro tanta pancia e tanto cuore.
Un film ricco di sequenze memorabili, fatto di esistenze che si intrecciano e persone che provano in tutti i modi a parlarsi senza riuscirci. O riuscendoci solo con affanno e sacrifici.
Se non l'avete visto, cercate di recuperarlo (dovrebbe riuscire nelle sale a breve...).
E pazienza se non dovesse vincere la statuetta.
Non toglierà nulla al valore assoluto del film.
24.2.07
Le Regole del "Cangia".
Quasi tre anni fa mi trovavo in una condizione del genere.
Una persona per me molto importante mi aveva detto che non aveva più intenzione di continuare a frequentarmi come aveva fatto fino a quel momento negli ultimi mesi.
E così, nel tentativo vano e stupido di riconquistarla, avevo inanellato un’interminabile sequenza di errori, senza giungere ad alcun risultato che non fosse dannoso per me.
Ero lì che vagavo, smarrito e desolato, in cerca di qualcosa o qualcuno che mi illuminasse, indicandomi la strada per la salvezza.
Ed è allora che ho incontrato lui, il “Cangia”.
Ci sono persone che hanno trovato la salvezza nelle pagine di “Siddharta”, altri, traendo ispirazione da figure mitologiche e senza tempo come Gandhi.
O, per guardare a tempi più recenti, tipo Flavio Briatore.
A me è bastato incontrare il personaggio che vedete raffigurato qui sopra, questo losco individuo con il collo taurino alla Pappalardo, la maglietta a strisce orizzontali rosse modello gondoliere veneziano e lo sguardo alla Alex de Large (beh, diciamo con lo sguardo di chi alle dieci di sera si è già scolato quattro rum e coca ed un paio di gin tonic…)
L’avevo conosciuto già diversi anni fa, e, a dirla tutta, mi era parso uno sfigato.
Ma, probabilmente, all’epoca la mia giovane mente non era ancora in grado di percepire la grandezza dell’Uomo e del suo pensiero che mi avrebbe illuminato diversi anni dopo.
Era una sera di luglio, mi aggiravo come un fantasma lungo il porto di Procida, faticando a districarmi nell’affollatissima movida dell’isola più mondana dell’arcipelago di Nisida, quando a un tratto l’ho intravisto, Lui, il “Cangia”, affiancato da due bravi che non avrebbero sfigurato in “Quei bravi ragazzi” di Scorsese.
Anche lui mi ha riconosciuto e mi ha fatto segno di seguirlo.
Così, pensando che farmi una bella bevuta male non mi avrebbe fatto (cos’altro avrei potuto fare con quel figuro? Non certo discutere dei massimi sistemi! Ah, come doveva essere offuscata la mia piccola mente per non riporre allora la giusta fiducia in una ‘sì grande figura…), ho deciso di seguirlo nell’elegante e raffinato wine-bar noto come “La Tavernaccia”.
Accomodatici al tavolino del bar, ho incominciato a vuotare il sacco al “Cangia” raccontandogli le ultime dis-avventure – Quindi sai, sono andato da lei e… siamo stati bene insieme…
- Ah! Ma allora te la sei scopata?
- No, ma che dici? Non c’erano le condizioni… dovevo ricominciare da capo… sai, era una situazione molto delicata… - stavo per completare la frase, anche se un po’ intimorito dallo sguardo severo del “Cangia”, quando le note di “Un Italiano” di Toto Cutugno risuonarono nell’aria.
Era il cellulare del “Cangia”.
Sul display il nome Mary. – Pronto? – Rispose con la sua inconfondibile cadenza napoletana. – Allora, ci vediamo più tardi? Ieri sera ci siamo proprio divertiti…. – Pausa. – No, vabbé… lasciamo stare, tanto come te ne trovo quante ne voglio… - Pausa. – Ciao, tr**a. – Chiuse la conversazione. – Allora mi stavi dicendo?
Ripresi a raccontare, anche se a fatica, interrotto continuamente dalla soave voce di Toto Cutugno che risuonava dal cellulare del “Cangia” e dalle sue numerose conversazioni con le varie Francesca, Roberta, Rosy e non so quante altre donne, tutte analoghe, se non con qualche minimo distinguo, a quella iniziale.
- … e quindi allora, sai, il problema è che in questo momento… non so più che fare… cioè, capisci… io da un lato vorrei, ma… - Non mi fece completare il discorso, il “Cangia”, discorso forse un po’ ondivago, forse un po’ contorto, ma che aveva una sua logica, anche se superficialmente poteva non sembrare così. Mi fece segno con la mano di fermarmi. Schiarì la voce e disse: - Luca. Per me stai un po’ inguaiato.
- Beh, effettivamente…
- Ma è in questi momenti che si vedono i veri amici.
- Versissimo.
- Tu mi vedi così tranquillo, sereno, rilassato, pieno di donne che mi cercano?
- Sì, mi pare di sì.
- E sai come ho fatto a raggiungere il mio verdana?
- Verdana? Ah, vuoi dire nirvana?
- Eh, vabbè verdana, nirvana, quella roba lì.
- Veramente no.
- E’ perché nella vita ho due regole. E le seguo sempre. E ogni volta che le seguo, non sbaglio mai.
- Ah! Interessante! E quali sono ‘ste regole?
- Allora: la prima regola dice “Fai ciò che vuoi comunque, dovunque e in qualsiasi momento”.
- Ah. Una specie di carpe diem?
- Ma che carpe diem e carpe diem?! E’ tutta un’altra cosa!
- …effettivamente, ora che ci penso… c’è solo qualche piccolissima affinità…
- Poi c’è la seconda. Ma è la prima in ordine d’importanza.
- Cioè è la prima, però anche la seconda, ma diciamo che…
- Silenzio! E senti bene! La seconda regola dice “Fai agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te”.
- Fai agli altri… Ah! Ho capito. Un po’ cattiva questa qui…
- Cattivo, buono, è tutto relativo. Comunque sì, forse è un po’ cattiva. Ma è fondamentale. Se la segui, andrai alla grande. In qualsiasi cosa.
- Oh… allora grazie.
- No. Ma di che? Però… mi raccomando, vedi di applicarle. Sinnò amm’ pers’ ‘o tiemp.
- Effettivamente… Vabbè… – Il mitico Toto riprese a cantare “L’Italiano” e capì che era giunto il momento di andare. – …allora ti saluto. Ci si becca in giro.
- Sì. Ciao. E ricordati le regole.
Così mi avviai, rinato dentro perché convinto che con quelle due brevi, ma sagge ed efficaci regole ogni problema sarebbe stato risolto. - E pensare che c’è gente che va a piedi fino a Capo Horn per ritrovare se stessi… - Pensai. – A me è bastato fare un salto alla “Tavernaccia” e scambiare quattro chiacchiere col “Cangia”. Mah! Certo che la gente è proprio strana…
Così adesso lo so che, se ho continuato a fare cazzate, non ho scusanti.
La Verità era lì, a portata di mano.
Ed è solo colpa mia, che non sono stato bravo ad applicarle, le regole del “Cangia”.
22.2.07
21.2.07
Voglia di Starbucks.
Voglia di Starbucks Coffee.
Voglia di Frappuccino con cioccolato, caffé e una spruzzata di panna.
Voglia di quelle torte così finte che sembrano finte e, probabilmente, lo sono.
Voglia di musica pop in sottofondo. A farti compagnia, ma coi toni giusti.
Senza essere invadente.
Voglia di quegli spazi dove puoi trascorrere ore, a sorseggiare una bibita, a guardare la gente passare.
A sentire le idee arrivare.
A volte travolgenti come una macchina lanciata a tutta velocità.
A volte timide, che si affacciano in punta di piedi.
Sturbucks Coffee.
Perché qui da noi non ce ne sono?
16.2.07
Liceali con la Toga.
- Quattro anni di liceo. Quattro anni di college. Quattro anni di scuola medica. Quando ci laureiamo siamo ben oltre i venti anni e non abbiamo ancora fatto niente. Tranne andare a scuola e pensare alla scienza. Il tempo si ferma. Siamo socialmente ritardati (…) Abbiamo tutti diciassette anni. Siamo dei liceali col bisturi. –
(Tratto dalla prima puntata della terza stagione di Grey’s Anatomy).
Qualche sera fa guardavo il telefilm in questione e, quando ho sentito uno dei co-protagonisti recitare queste battute, non ho potuto fare a meno di pensare a quanto fosse azzeccata e ficcante la descrizione di una condizione che sento mia e che ritengo sia comune anche a molte delle persone che conoscono.
Adattandola alla mia realtà verrebbe più o meno così:
Cinque anni di liceo.
Cinque-sei di università.
Due-tre anni per specializzarsi e/o per diventare avvocati.
Il resto delle riflessioni non ha bisogno di adattamenti. C’è solo da sostituire il bisturi con la toga o con il microscopio o con la penna rossa o con la calcolatrice e così via…
Ma la sostanza non cambia.
Alla soglia dei trent’anni sei lì, a renderti conto che hai trascorso la maggior parte del tempo con la testa china sui libri.
Credendo o magari sperando che in quei libri ci fosse la Verità o, peggio ancora, una serie di certezze in grado di rispondere agli imprevisti di fronte ai quali ti pone la vita.
E così ti chiedi se sei realmente adeguato ad affrontare quello che c’è lì fuori.
E, forse, da una parte, hai anche paura di quello che ti aspetta...
Ma, dall’altra, hai anche tanta voglia di mandare all’aria libri, scartoffie e tutto il resto.
E di provare ad azzannare la vita alla gola.
14.2.07
10.2.07
Ancora in fuga
Non è passato molto tempo dall’inizio della fuga, eppure già un bel po’ di strada è stata fatta.
Abbiamo avuto, tra le altre cose, un primo incontro con l’Uomo Paggio, abbiamo fatto la conoscenza di Non Spargere la Voce ed abbiamo toccato con mano l’infinito potere della divinità nota come dio dei Luoghi Comuni.
Alcuni, sia in privato che in questa sede, si sono lamentati per i toni eccessivamente cupi e pessimistici di diversi post.
Cosa dire? Quando si è in fuga il tempo per riflettere non è tantissimo.
A volte si ha solo qualche fugace attimo per guardarsi intorno e dare un’occhiata al paesaggio.
Inutile negarlo: il paesaggio è apparso spesso desolante.
Il punto allora è: quando si scorge un paesaggio desolante, la desolazione è nell’occhio di chi guarda o di chi ha fatto o fa parte di questo paesaggio?
La risposta non è semplice né scontata come può apparire e non è da escludere che le due cose finiscano con l’influenzarsi a vicenda.
E poi è inevitabile che quando si è appena incominciata una fuga, la tentazione di voltarsi indietro, anche soltanto per vedere a che distanza sono gli inseguitori, sia particolarmente forte.
Cercherò di tenerla a freno.
Ma so già che non sarà affatto facile sottrarsi alla tentazione di guardarsi alle spalle.
Fermarsi un attimo per riprendere il fiato è anche l’occasione per guardare avanti.
Ancora tanti i luoghi da visitare, le persone da incontrare: di qui a breve faremo la conoscenza di un personaggio chiamato “Cangia” e del suo stile di vita, conosceremo gli esiti dell’incontro fra il professor Juarez e Peter Visconti, cercheremo di capire i motivi dell’irresistibile fascino delle donne mature e, speriamo in tempi non troppo lunghi, vedrà la luce l’inizio di un progetto che richiederà la partecipazione attiva di tutti voi fuggitivi.
Come vedete le cose da fare sono tante.
La strada è ancora lunga.
La fuga è appena cominciata.
9.2.07
Revival Trash
Ieri serata all'insegna della musica anni '80, del revival e del trash.
Un grazie a tutti quelli che hanno partecipato, tra le note di uno dei caposaldi della serata...
5.2.07
Il Suono del Silenzio.
Sono una persona pacifica ed è difficile che ad un comportamento anche profondamente scorretto nei miei confronti risponda con un moto di rabbia.
Se c’è, però, una cosa capace di farmi andare in bestia è quando mandi un sms ad una persona cui tieni e non hai risposta.
Chiaramente non parlo di sms che non necessitano di una risposta o di quei casi in cui la risposta arriva, sia pure con ritardo.
No, mi riferisco ai casi in cui ti aspetti una risposta e questa non arriva.
Ho riscontrato spesso questo tipo di atteggiamento e ne comprendo anche le ragioni: molte volte, piuttosto che dare esplicitamente una risposta negativa ad una persona che ti sta cercando, si preferisce dare una risposta, per così dire, indiretta.
In pratica l’idea è: se non ti rispondo vuol dire a) che non ci sto; b) che mi stai mettendo in imbarazzo rendendomi difficile risponderti (che poi non è altro che una variante dell’ipotesi sub a); c) che non ho i soldi per poter rispondere. Scartata quest’ultima possibilità che, dando per scontata la buona fede della persona che dovrebbe risponderti, può sempre verificarsi, il vero problema nasce nei primi due casi.
In entrambi i casi ricorrere al meccanismo del silenzio mi fa schifo.
Capisco l’imbarazzo, il dispiacere, il fastidio di dover dare una risposta negativa, ed io stesso mi sono trovato a volte in difficoltà nel dover rispondere ad un sms, però penso che una risposta sia sempre dovuta.
Anche se negativa.
Anche se si sa che può far dispiacere chi la riceve.
Perché altrimenti diventa tutto troppo facile. Dannatamente troppo facile.
Perché è da vigliacchi lasciare che sia chi ha mandato il messaggio a dover trarre le conclusioni (negative) del proprio gesto.
No. Così non va. Mi sembra un modo troppo facile e cialtrone di liquidare una persona senza sporcarsi le mani.
Nessuno vorrebbe mai sporcarsi le mani.
Però ci sono dei casi in cui, volenti o nolenti, è necessario farlo.
Preferisco essere mandato a quel paese piuttosto che perdere tempo ad analizzare i possibili significati di un gesto per poi magari trarne la conclusione di mandarmi a quel paese da solo.
Preferisco il frastuono causato da parole spiacevoli all’angoscia sottile che porta con sé il suono del silenzio.
4.2.07
3.2.07
Nostalgia Canaglia
1.2.07
Paura, eh?
Esattamente un anno fa sostenevo le prove scritte del concorso in magistratura.
Ad un anno di distanza i ricordi di quei due giorni non sono affatto nitidi, ma, al contrario, indistinti.
Confusi.
Ricordo con precisione alcuni momenti.
Piccoli episodi insignificanti.
Ma ci sono sensazioni che è difficile dimenticare.
La tensione prima della lettura delle tracce.
Lo spaesamento mentre le dettavano.
La paura.
Non quella iniziale, appena terminata la dettatura, ma quella che mi ha colpito a metà del giro, quando il tempo sembrava scivolare inesorabilmente verso la fine, impedendomi di ragionare fino in fondo con il giusto distacco. Con la giusta freddezza.
Che brutti scherzi può tirarti la paura, eh?
Ieri sera ero al Pala Eldo, ad assistere ad un incontro di basket.
In palio il passaggio alle Top 16, l’ingresso nell’elite della pallacanestro europea.
Una partita storica per la squadra partenopea.
Stavamo vincendo ed anche con un buon distacco.
Poi, negli ultimi minuti del quarto quarto, il caos.
Gli avversari a recuperare, a mettere dentro tutti i punti necessari a ridurre il distacco.
Noi ad affannare.
Nessuna idea in attacco.
La miseria di 4 punti negli ultimi 5 minuti.
Molli in difesa.
Gambe che tremavano.
I palloni che potevano regalarci la vittoria regalati sì, ma agli avversari.
E tutti noi spettatori, lì, a guardarci negli occhi, spaesati e a chiederci – Cos’è successo?
Già. Cos’è successo?
La paura.
Ha colpito. Ancora una volta. E ha vinto. Ci ho pensato a lungo, ma…
…non c’è altra spiegazione per quei passaggi molli.
Per quei tiri sghembi.
Quelle gambe tremanti.
La paura.
Può fare più danni di qualsiasi male.
Paura di fallire.
Paura di lasciarsi andare.
Di innamorarsi.
Di soffrire.
Di perdere una persona a cui teniamo.
Di perdere qualcosa a cui teniamo.
Di perdere.
La paura ha tante facce.
Ma una sola anima.
E quando la conosci (e prima o poi la conosci, non c’è scampo…), è difficile liberartene.
Però ci proverò lo stesso. A combatterla.
E spero tanto, fra un po’ di tempo, di essere lì, ancora in piedi, col coltello fra i denti.
Pronto a ridurre a brandelli i mille volti della paura.
Proprio come il tipo che vedete qui sotto...