24.2.07

Le Regole del "Cangia".

Ci sono momenti, nella vita, in cui vaghiamo sbandati, senza meta, in cerca di una direzione precisa, di un approdo sicuro che fatichiamo a trovare.

Quasi tre anni fa mi trovavo in una condizione del genere.

Una persona per me molto importante mi aveva detto che non aveva più intenzione di continuare a frequentarmi come aveva fatto fino a quel momento negli ultimi mesi.
E così, nel tentativo vano e stupido di riconquistarla, avevo inanellato un’interminabile sequenza di errori, senza giungere ad alcun risultato che non fosse dannoso per me.

Ero lì che vagavo, smarrito e desolato, in cerca di qualcosa o qualcuno che mi illuminasse, indicandomi la strada per la salvezza.

Ed è allora che ho incontrato lui, il “Cangia”.

Ci sono persone che hanno trovato la salvezza nelle pagine di “Siddharta”, altri, traendo ispirazione da figure mitologiche e senza tempo come Gandhi.
O, per guardare a tempi più recenti, tipo Flavio Briatore.

A me è bastato incontrare il personaggio che vedete raffigurato qui sopra, questo losco individuo con il collo taurino alla Pappalardo, la maglietta a strisce orizzontali rosse modello gondoliere veneziano e lo sguardo alla Alex de Large (beh, diciamo con lo sguardo di chi alle dieci di sera si è già scolato quattro rum e coca ed un paio di gin tonic…)

L’avevo conosciuto già diversi anni fa, e, a dirla tutta, mi era parso uno sfigato.
Ma, probabilmente, all’epoca la mia giovane mente non era ancora in grado di percepire la grandezza dell’Uomo e del suo pensiero che mi avrebbe illuminato diversi anni dopo.

Era una sera di luglio, mi aggiravo come un fantasma lungo il porto di Procida, faticando a districarmi nell’affollatissima movida dell’isola più mondana dell’arcipelago di Nisida, quando a un tratto l’ho intravisto, Lui, il “Cangia”, affiancato da due bravi che non avrebbero sfigurato in “Quei bravi ragazzi” di Scorsese.
Anche lui mi ha riconosciuto e mi ha fatto segno di seguirlo.
Così, pensando che farmi una bella bevuta male non mi avrebbe fatto (cos’altro avrei potuto fare con quel figuro? Non certo discutere dei massimi sistemi! Ah, come doveva essere offuscata la mia piccola mente per non riporre allora la giusta fiducia in una ‘sì grande figura…), ho deciso di seguirlo nell’elegante e raffinato wine-bar noto come “La Tavernaccia”.

Accomodatici al tavolino del bar, ho incominciato a vuotare il sacco al “Cangia” raccontandogli le ultime dis-avventure – Quindi sai, sono andato da lei e… siamo stati bene insieme…
- Ah! Ma allora te la sei scopata?
- No, ma che dici? Non c’erano le condizioni… dovevo ricominciare da capo… sai, era una situazione molto delicata… - stavo per completare la frase, anche se un po’ intimorito dallo sguardo severo del “Cangia”, quando le note di “Un Italiano” di Toto Cutugno risuonarono nell’aria.
Era il cellulare del “Cangia”.
Sul display il nome Mary. – Pronto? – Rispose con la sua inconfondibile cadenza napoletana. – Allora, ci vediamo più tardi? Ieri sera ci siamo proprio divertiti…. – Pausa. – No, vabbé… lasciamo stare, tanto come te ne trovo quante ne voglio… - Pausa. – Ciao, tr**a. – Chiuse la conversazione. – Allora mi stavi dicendo?
Ripresi a raccontare, anche se a fatica, interrotto continuamente dalla soave voce di Toto Cutugno che risuonava dal cellulare del “Cangia” e dalle sue numerose conversazioni con le varie Francesca, Roberta, Rosy e non so quante altre donne, tutte analoghe, se non con qualche minimo distinguo, a quella iniziale.
- … e quindi allora, sai, il problema è che in questo momento… non so più che fare… cioè, capisci… io da un lato vorrei, ma… - Non mi fece completare il discorso, il “Cangia”, discorso forse un po’ ondivago, forse un po’ contorto, ma che aveva una sua logica, anche se superficialmente poteva non sembrare così. Mi fece segno con la mano di fermarmi. Schiarì la voce e disse: - Luca. Per me stai un po’ inguaiato.
- Beh, effettivamente…
- Ma è in questi momenti che si vedono i veri amici.
- Versissimo.
- Tu mi vedi così tranquillo, sereno, rilassato, pieno di donne che mi cercano?
- Sì, mi pare di sì.
- E sai come ho fatto a raggiungere il mio verdana?
- Verdana? Ah, vuoi dire nirvana?
- Eh, vabbè verdana, nirvana, quella roba lì.
- Veramente no.
- E’ perché nella vita ho due regole. E le seguo sempre. E ogni volta che le seguo, non sbaglio mai.
- Ah! Interessante! E quali sono ‘ste regole?
- Allora: la prima regola dice “Fai ciò che vuoi comunque, dovunque e in qualsiasi momento”.
- Ah. Una specie di carpe diem?
- Ma che carpe diem e carpe diem?! E’ tutta un’altra cosa!
- …effettivamente, ora che ci penso… c’è solo qualche piccolissima affinità…
- Poi c’è la seconda. Ma è la prima in ordine d’importanza.
- Cioè è la prima, però anche la seconda, ma diciamo che…
- Silenzio! E senti bene! La seconda regola dice “Fai agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te”.
- Fai agli altri… Ah! Ho capito. Un po’ cattiva questa qui…
- Cattivo, buono, è tutto relativo. Comunque sì, forse è un po’ cattiva. Ma è fondamentale. Se la segui, andrai alla grande. In qualsiasi cosa.
- Oh… allora grazie.
- No. Ma di che? Però… mi raccomando, vedi di applicarle. Sinnò amm’ pers’ ‘o tiemp.
- Effettivamente… Vabbè… – Il mitico Toto riprese a cantare “L’Italiano” e capì che era giunto il momento di andare. – …allora ti saluto. Ci si becca in giro.
- Sì. Ciao. E ricordati le regole.

Così mi avviai, rinato dentro perché convinto che con quelle due brevi, ma sagge ed efficaci regole ogni problema sarebbe stato risolto. - E pensare che c’è gente che va a piedi fino a Capo Horn per ritrovare se stessi… - Pensai. – A me è bastato fare un salto alla “Tavernaccia” e scambiare quattro chiacchiere col “Cangia”. Mah! Certo che la gente è proprio strana…

Così adesso lo so che, se ho continuato a fare cazzate, non ho scusanti.

La Verità era lì, a portata di mano.

Ed è solo colpa mia, che non sono stato bravo ad applicarle, le regole del “Cangia”.

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