12.6.07
La sindrome del fuggitivo.
Lavoro.
Indipendenza.
Responsabilità.
Matrimonio.
Basta che qualcuno incominci appena a sussurrare una di queste parole per far scattare l’allarme rosso.
E quando ha finito di pronunciarla è ormai troppo tardi.
Perché siamo già belli che in fuga.
Ecco, la sindrome del fuggitivo consiste proprio in questo.
È la paura di affrontare scelte importanti, di separarsi definitivamente dal guscio nel quale siamo cresciuti e vissuti.
Un horror vacui che chi prima chi poi ha colpito tutti (o quasi) i miei amici più stretti.
Me compreso.
Credevo di esserne immune e invece, alla soglia dei trent’anni, con improvvido ritardo, ha colpito anche me.
Da qualche mese a questa parte (più o meno da quando ho aperto questo blog) viene a farmi visita sempre più spesso.
Mi sussurra all’orecchio: vattene! Fuggi! Prima che sia troppo tardi…
Ma troppo tardi per cosa?
Non sarà forse che prendiamo troppo male eventi che andrebbero vissuti con più entusiasmo? Con una buona dose di sana e vitale incoscienza?
Impossibile rispondere.
Non c’è il tempo per farci queste domande, figuriamoci per provare a darci delle risposte (anche se io una sorta di spiegazione un po’ oscura e strampalata avevo già provato a darla qui).
La sindrome del fuggitivo ha preso il sopravvento.
Per assecondarla le proviamo tutte: rinviamo il momento della laurea, quello dell’ingresso nel mondo del lavoro, del fidanzamento “serio” e così via…
E tante circostanze esterne fanno il resto, dandoci una grossa mano a rimandare il momento in cui dovremo crescere.
È vero, viviamo in una fase in cui i tempi sono tutti spostati in avanti.
Il lavoro, il matrimonio, i figli. Tutto avviene molto più tardi di quanto avvenisse venti-trent’anni fa. Questo è indiscutibile.
Abbiamo alibi in grado di scagionare chiunque, è vero.
Però, forse, in fondo, ma proprio in fondo, ci va bene così.
Perché restare bambini è bello.
Riderci sopra è sempre meglio.
Dormire al sicuro male non ci fa.
E così ci guardiamo tra noi “fuggitivi” sorridendo compiaciuti e soddisfatti, come tanti Peter Pan che svolazzano leggeri sull’isola che non c’è.
Solo che l’isola non c’è sul serio.
E fra un po’ di tempo, neanche tanto per la verità, se continuiamo di questo passo, rischiamo di atterrare sull’acqua.
E di bagnarci di brutto.
Allora io ho deciso.
Butto via lo zaino e cerco dei punti fermi.
Voglio farmi trovare pronto.
La prossima volta che qualcuno mi offre un’opportunità di lavoro più o meno accettabile o una ragazza mi parla di matrimonio non mi tirerò indietro.
Sì, eccomi.
Incomincio già a sentirmi pronto.
Magari… se proprio fosse possibile… qualche altro mese di libertà non mi dispiacerebbe.
Qualche altro mese di irresponsabilità.
Sei… sette…
Facciamo un anno, e chiudiamo la trattativa.
Ok.
Io sono pronto (tra un anno intendo…) ad assumermi le mie responsabilità.
E voi?
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