23.9.08
Quali sono le tue sigle?
Una delle prime domande che mi hanno fatto appena sono arrivato nello studio dove lavoro attualmente è stata “Quali sono le tue sigle?”
Confesso che all’inizio, di fronte a questa domanda, sono rimasto piuttosto interdetto.
Cosa vorranno sapere? – Mi sono chiesto.
Possibile che a degli avvocati interessi conoscere quali sono le mie sigle di cartoni animati preferite? – Continuavo a domandarmi, vittima di un’evidente equivoco.
Poi mi hanno spiegato.
Le sigle non erano quelle simpatiche canzoncine che hanno rallegrato la nostra adolescenza (e che ancora adesso quando sentiamo scatenano in noi reazioni inconsulte), ma, molto più semplicemente, le mie iniziali.
Sì, perché nello studio dove lavoro siamo tutti identificati con delle sigle.
Qualunque cosa tu faccia, che si tratti di ordinare un panino, di partecipare a un’udienza, di scrivere un atto o di mandare una mail, devi metterci sotto le tue sigle.
Ma qual è lo scopo delle sigle?
Ufficialmente sono un modo per mettere ordine: evitare di confondere il proprio panino con quello di un altro, individuare più velocemente chi conosce bene una determinata pratica.
Ufficiosamente sono un simpatico modo per mettertelo nel culo.
Sì, perché appena viene scoperto un errore in udienza, una svista in un atto, o un destinatario di troppo in una mail, la domanda che irrompe nell’aria è “di chi sono le sigle?”
Ora, intendiamoci, è perfettamente comprensibile che in una struttura di venti-trenta persone ci sia una divisione di compiti e, di conseguenza, ognuno si assuma la responsabilità di quello che fa.
Se così non fosse regnerebbe il caos.
Infatti non contesto l’idea e il sistema delle sigle (per quanto mi dia un certo fastidio dovermi firmare lc e non luca…)
A darmi fastidio è l’idea che, appena scoperto un errore, la prima domanda che viene fatta non è “cosa si può fare per rimediare?” Ma, come già detto, “di chi sono le sigle?”
A me quest’idea che anziché cercare di risolvere un problema si debba aprire una caccia al colpevole mi sembra una cosa fuori da ogni di logica.
Un’inutile perdita di tempo.
Anzi, a dirla tutta, mi sembra una gran cazzata.
Firmato lc
21.9.08
Cambio di mentalità.
Può un post cambiarti la vita?
Ad essere sinceri, credo proprio di no.
Però credo che a volte può servire a riflettere (ed a far riflettere) su certi atteggiamenti, su certe convinzioni, mettendole in discussione.
Molti dei primi post che ho scritto nascevano da questa intenzione.
Oltre che dall’esigenza di camminare più comodo, liberandomi dai classici sassolini nelle scarpe.
Poi ho scritto un post.
Che nasceva dalla constatazione che certi miei atteggiamenti apatici e lamentosi non potevano restare immutati per sempre.
Il post era questo.
Dietro quel titolo volutamente spaccone e provocatorio c’era un’esigenza di cambiamento che si era messa a puntare i piedi.
E che non aveva nessuna voglia di restare inascoltata.
Da quando ho scritto quel post è passato un po’ di tempo, ma posso dire che scriverlo, e ritornarci su, ogni tanto, per rileggerlo, mi è servito.
La sera, quando torno a casa, dopo una giornata lavorativa di merda, non mi lamento più.
Penso solo a come rendere il giorno successivo migliore.
Quando sento qualcuno che inizia la solita tiritera su quanto siamo pagati poco, gli dico – Ok. Vero. Hai ragione. E adesso? Come la risolviamo ‘sta cosa? Vogliamo farci i pompini a vicenda su quanto è girato male per la nostra generazione o vogliamo rimboccarci le maniche e vedere cosa c’è da fare per migliorare la situazione?
Quando mi viene detto che siamo sfigati con le donne e che per trovare quella giusta dobbiamo andare chessò in Brasile o a Cuba, penso – Certo, potevamo essere più fortunati. Ma non sarà che qualcosina l’abbiamo sbagliata anche noi? Che magari abbiamo inseguito le donne sbagliate? Che ci siamo tuffati nelle situazioni sbagliate? E poi, diciamocela tutta: Brasile, Cuba o qualche altra località possono essere un palliativo… non certo la cura.
Insomma, se c’è una cosa che mi è chiara in questo momento è che “se non sei parte della soluzione, allora sei parte del problema”.
E che se non ci svegliamo e ci diamo da fare, rimboccandoci le maniche, finiremo come quei vecchi che passano le giornate al bar dello sport a prendersela con l’arbitro.
Io ho cambiato mentalità (o almeno ci sto provando..).
E voi?
Cosa aspettate a farlo?
18.9.08
La nuova grafica del blog...
2.9.08
Facebook e la ricerca del tempo perduto
Mi sono sempre fidato poco delle conoscenze fatte attraverso la rete.
E di chi colleziona amici come fossero figurine.
Per questo quando mi hanno invitato ad iscrivermi su Facebook, prima, ho usato risposte vaghe tipo “Magari nei prossimi giorni”. “Forse”. “Chissà”.
Poi una volta iscritto, mi sono chiesto (e credo di non essere stato il solo) “Ma a che serve ‘sta stronzata?”
Infine c’era quel dettaglio terribile.
Quelle liste di amici, ognuno con la propria foto formato tessera, rigorosamente in ordine alfabetico, tutti in fila uno dopo l’altro.
Proprio come delle fottute figurine!
E allora ho pensato che era il caso di tirarsi fuori. “Cazzo! Abbi un po’ di coerenza, almeno per una volta!”.
Ma niente da fare.
Ormai c’ero finito dentro fino al collo.
Era troppo tardi.
Avevo scoperto la funzione “cerca”, lì, in alto sulla sinistra.
E, attraverso quella piccola lente di ingrandimento, avevo afferrati il senso ultimo di Facebook (beh, confesso che forse ci ho messo effettivamente un po’ troppo…)
Che non è solo né tanto quello di tenersi in contatto con la gente che frequenti (o che frequenterai).
Ma è, soprattutto, quello di ritrovare volti, nomi, persone che, in un modo o nell’altro, hanno fatto parte del tuo passato.
Che sono state parte della tua vita.
Cercare la ragazzina che ti piaceva alle elementari.
Scovare il gatto che hai abbandonato dietro l’angolo perché tentava di strapparti gli occhi con le unghie.
Ritrovare i tuoi vecchi compagni delle medie.
Vedere che fine hanno fatto, che faccia hanno, dove vivono, come se la passano è un modo straordinario di viaggiare nel tempo stando fermi davanti allo schermo del Mac.
È un mezzo semplicissimo per andare alla ricerca del tempo perduto.
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