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Inverno 2003. Sono in un cinema romano, in Via Manzoni, zona S. Giovanni. Mi trovo lì per frequentare uno dei più rinomati corsi di preparazione al concorso di uditore giudiziario. Il cinema è composto di due sale: la prima, la più grande e affollata, dove il giudice che tiene il corso è fisicamente presente e ben visibile, la seconda, molto più piccola della prima, nella quale è possibile seguire la lezione ascoltando la voce del docente diffusa dalle casse senza poterlo vedere.
Scelgo di sedere nella sala grande, l'idea di seguire una lezione senza poter osservare i gesti e le movenze di chi la tiene mi pare bizzarra, o forse, più semplicemente, sono ancora legato ad una concezione scolastica-adolescenziale secondo la quale se non c'à un professore che mi controlla tendo a distrarmi con estrema facilità (sì, mi sa proprio che è questa la vera causa della mia scelta...).
Un giorno, durante una lezione come tante, decido di entrare nella sala piccola, nella quale, fino a quel momento, non avevo mai fatto ingresso.
Sono convinto di trovare una gran confusione, con gente più o meno distratta dalla lezione e tutta presa dalle più varie amenità come: lettura della Gazzetta (con annesse medie del fantacalcio), ascolto di musica hip-hop con I-Pod, baci, abbracci , ecc. ecc.
Invece, con mia grande sorpresa...
Niente di tutto questo. Ma proprio nulla.
Non solo: l'audio è perfetto, la voce del giudice è purificata e resa cristallina dai diffusori, la quiete regna sovrana e, soprattutto, dei continui "Pausa!!!" richiesti a gran voce (vanamente) da noi frequentanti la sala grande per ottenere brevi sospensioni delle interminabili lezioni non vi è alcuna traccia.
Nessuna.
Decido allora di fermare una ragazza che conosco vagamente per chiederle delucidazioni - Scusami, ma... quassù è tutto sempre così... tranquillo? - Le chiedo, con un'aria a metà tra lo stupito e lo scettico.
- Sì. - Mi risponde. O almeno credo si tratti di un "sì": ha a malapena sussurrato, e pure a denti stretti... La risposta non mi convince (non fosse altro perché non sono poi così sicuro ci sia stata, una risposta...), e allora insisto - Scusa se ti disturbo, ma... quindi... si riesce a seguire bene in questa sala? - E raddoppio - E' sempre così...
- ... Tranquillo? - Mi anticipa. - Sì. E' sempre così. Come vuoi che te lo dica? - Magari aprendo la bocca penso tra me e me, ma mi limito ad un - Ah, davvero? Bene. Allora seguirò qui, qualche volta... Grazie dell'informazione. Ciao. - Faccio per allontanarmi, ma lei mi fa segno di fermarmi, si avvicina a me, si guarda intorno con circospezione e, sempre sussurrando, mi dice - Mi raccomando, però... - Si ferma, si volta indietro come in quei films dove il buono crede di essere inseguito da qualcuno, si fa in avanti, come a controllare che dietro le mie spalle non si celi qualche ninja capace di mimetizzarsi con la tappezzatura color topo della sala, e poi, a quanto pare tranquillizzatasi circa l'assenza di curiosi in grado di intercettare chissà quale segreto, riprende - Mi raccomando...
- Sì, ma cosa? - Le chiedo, ormai innervosito da una pantomima che sta protraendosi oltre misura.
- Non spargere la voce! - Mi dice, accompagnando l'indice destro alla punta del naso. Io la guardo perplessa, ma mi limito a fare un cenno di assenso col capo. - Hai capito? Questo concorso è una lotta, siamo in tanti, troppi rispetto ai posti, ed è meglio che non si sappia in giro che qui in sala due si segue molto meglio...
- Ok. Capito perfettamente. - Le rispondo e mi allontano, pensando tra me e me, in ordine più o meno sparso: la ragazza è paranoica, questo concorso ci sta portando all'esaurimento e proprio non mi va giù l'idea di considerarlo come una gara ad eliminazione dove dobbiamo guardarci in cagnesco l'uno con l'altro pensando a come fregarci a vicenda...
Sono passati tre anni.
All'inizio di quest'anno il concorso in questione si è svolto.
Da una ventina di giorni sono usciti i risultati.
Il mio nome non è presente nella lista degli ammessi agli orali.
Quello di "Non spargere la voce" (però, detto così suona bene! Sembra il nome di un indiano d'America...) invece lo è.
Non metto in dubbio i suoi meriti.
Ne avrà senz'altro.
E' solo che... quando ho deciso di affrontare la sfida di un concorso duro e selettivo come quello in magistratura ho fatto una promessa a me stesso: non avrei mai rinunziato ad una certa idea di solidarietà che mi porto dietro da sempre.
All'idea di correre in fondo sì per se stessi, ma senza dover necessariamente provare a disarcionare gli altri concorrenti.
In altre parole, non ho mai accettato l'idea che per raggiungere un obiettivo si debba essere disposti a tutto, in primis a fregare chi versa nella tua stessa condizione.
Eppure...
Eppure i fatti mi dicono che ho avuto torto.
Che se decidi di partecipare ad una gara devi guardare ai concorrenti come a degli avversari.
Che del tuo stile, dei tuoi valori, della tua lealtà non frega un cazzo a nessuno.
Di qui il problema: come affrontare il prossimo concorso?
Mantenendo lo stesso atteggiamento di prima o con maggiore cinismo, cattiveria?
Proprio non lo so.
Anzi, se devo essere sincero, un'idea ce l'ho.
Ma non ho nessuna intenzione di gridarla ad alta voce.
Perciò, se volete sentirla, avvicinatevi.
Ascoltate.
... ... ...
Sì, avete capito bene. E mi raccomando...
...non spargete la voce!
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