Si sgretola una videocassetta.
Si sbriciola un walkman.
L’immagine è potente. Evoca il Nolan di Inception, con le sue città sogno/incubo che si smontano, si rimontano, si capovolgono e, appunto, si disgregano.
Ed altrettanto efficace è il messaggio che si intende far passare: gli oggetti a cui ci leghiamo, da cui spesso finiamo per dipendere, anche se capaci di segnare un’epoca, sono destinati a sparire.
Tutti.
Per lasciare spazio a qualcosa di più pratico, funzionale, efficiente.
Moderno.
In fondo, non c’è immagine migliore per dimostrare quanto il trascorrere del tempo possa essere impietoso nei confronti della tecnologia, catapultando nell’oblio oggetti che fino a un attimo prima ci apparivano perfetti. E destinati all’eternità.
E, con essi, le epoche caratterizzate da quegli oggetti.
Solo che, in questo meccanismo pubblicitario apparentemente perfetto, c’è un problema.
Un’imperfezione.
Qualcosa che provoca un sussulto, dentro di noi.
Perché con quel walkman che si disgrega davanti ai nostri occhi, ci siamo nati: attaccato alla cinta, con dentro musicassette riempite a furia di premere il tasto play e rec contemporaneamente, mentre incrociavamo le dita nella speranza che il deejay di turno non rovinasse la canzone intervenendo con il suo vocione prima della sua fine.
Perché siamo cresciuti col videoregistratore, programmato per registrare gli horror a notte fonda. Piccoli montatori in erba allenati ad individuare l’ultimo spot di uno stacco pubblicitario prima di poter riprendere la registrazione. Ed avere così una riproduzione senza pubblicità, senza tagli, più vicina possibile a quella originale.
C’era anche chi, come me, addirittura comprava i contenitori per le VHS, quelli neri, per farci la copertina del film, usando foto e ritagli di giornale, informazioni su cast e durata prese da TV Sorrisi e Canzoni e i cartoncini del paginone centrale di CIAK per la copertina.
Eh, sì. Stavolta i maghi della pubblicità sono stati così bravi da averla fatta grossa.
Perché quegli oggetti che hanno deciso di mettere in primo piano, mentre si sgretolano sotto i nostri occhi, non sono oggetti, ma molto di più.
Sono pezzi di vita.
Sono un concentrato di ciò che siamo stati (e non possiamo più essere).
E se il messaggio che volevano trasmetterci era “guardate avanti, sostituite quello che avete con qualcosa di nuovo”, allora hanno sbagliato di brutto.
Perché il risultato raggiunto è esattamente opposto.
Perché voltarci indietro è un gesto molto più naturale del guardare avanti.
Perché nessun oggetto potrà sostituire nel nostro cuore quelli con cui siamo nati.
Quelli con cui siamo cresciuti.
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