31.3.07

I peggiori anni della nostra vita.


Non mi piacciono i diari.
Anche in questo spazio, per quanto non manchi una componente “diaristica”, cerco sempre di riportare gli aneddoti e le esperienze personali in un contesto più ampio, in una dimensione universale che possa coinvolgere maggiormente chi legge queste pagine.
Non amo i diari. Non mi sono mai piaciuti.
Per questo mi sono meravigliato, quando, qualche giorno fa, ho messo un po’ d’ordine tra le cose vecchie ed ho trovato un quadernetto ingiallito che si apre così: “Ho deciso di iniziare questo nuovo quaderno con delle considerazioni che esulano dallo spazio dedicato ad idee, soggetti e cose varie. Infatti credo sia necessario parlare un po’ della scuola, che ai miei occhi sta assumendo sempre più l’aspetto di un vero e proprio manicomio. Non trovo altre parole adatte a giudicare la follia di insegnanti come la prof. M******a un vero e proprio caso di schizofrenia ed alteriosclerosi precoce che sta trasformando questi ultimi giorni di scuola in un piccolo inferno, fortuna che abbiamo un’arma segreta che ci consente di sopravvivere ogni giorno, l’ironia (…), che ci aiuta sempre nei momenti più difficili (…)”.
Credo che le pagine si riferiscano agli ultimi giorni del primo liceo, circa tredici anni fa.
Dovevo stare davvero male per scrivere queste cose, io che riempivo i quaderni di idee demenziali e spunti per parodie tipo “Senza esclusione di crampi” e “Il calamaro”.
Colpa di insegnanti che non erano bravi a fare il loro mestiere.

Insegnare è difficile. È forse uno dei mestieri più difficili che ci sia.
Ci può stare che si commettano degli sbagli, che non si riesca a farsi capire.
Però ci sono due cose in cui un insegnante non può essere carente: deve avere equilibrio.
E deve saper giudicare bene i propri alunni.

La prof. di cui parlo in quelle pagine, che per convenzione chiameremo “Skizzata”, non era equilibrata. Per niente.
Un giorno era la persona più buona e ragionevole del mondo.
E tu eri il miglior alunno possibile.
Il giorno dopo era una belva sanguinaria alla quale avresti potuto pittare il mondo senza che la sua rabbia si placasse.
E tu, per quanto ti sforzassi, non potevi fare nulla. In quei giorni lì, eri feccia.
Da qui il senso di precarietà e di frustrazione che traspare in quelle righe.

Se non ha equilibrio chi è chiamato a trasmettertelo, come fai ad averne tu?

Poi c’era il prof. del ginnasio, che per convenzione chiameremo “Barbino”, per via della barba che si accarezzava ripetutamente, neanche fosse la fottuta lampada di Aladino dalla quale doveva uscire il fottuto genio.
Iniziai male con lui.
Preparazione insufficiente, risposte zoppicanti.
Le prime interrogazioni furono un disastro.
Però ce la misi tutta, per risalire la china.
Ricordo di un’interrogazione quasi-perfetta. Tutte le risposte giuste.
Tutte tranne una.
Da ciò quel quasi.
- Accidenti! Peccato per quella risposta… - Esclamò “Barbino” grattandosi la barba e sfogliando la malefica agenda sulla quale tracciava i nostri profili.
- Ma… professore, solo un errore… su che voto sono? - Chiedevo preoccupato per l’espressione scura dipinta sul suo volto.
- … - Di nuovo accarezzandosi la barbetta - …beh, direi un 6. Vabbè… facciamo 6+.
Il massimo che potevo raggiungere era 6+. Non c’era nulla da fare.
Ero uno da 6 stentato. Uno da 6+ al massimo. Doveva essere scritto così, nella sua agenda, ne sono certo.
E nella sua testa.
Quei profili erano pieni di cazzate.
Perché “Barbino” era un perfetto esempio di professore che non sa valutare i propri alunni.
O almeno non tutti.
Ma erano tanti i casi come il mio.
Se fosse stato un profiler dell’F.B.I. non avrebbero mai più beccato un serial-killer in tutti gli stati Uniti d’america, ne sono convinto.

Però…
Però sarebbe sbagliato liquidare gli anni del liceo come i peggiori.
È vero, inutile nasconderlo, ho dovuto mandar giù tanta merda.
Però in quegli anni sono nate amicizie che sono ancora incredibilmente vive.
E dopo quattordici-quindici anni di tempo, non è una cosa da poco.
I migliori amici che ho, quelli più importanti, li ho conosciuti in quegli anni.
Sono come fratelli (e NON E’ retorica...).
In quelle piccole battaglie quotidiane combattute tra le mura scolastiche si è forgiato un senso di solidarietà che ha fortificato, giorno dopo giorno, la nostra amicizia.
Ci basta uno sguardo, una parola, un movimento impercettibile della testa per capirci al volo.
I maligni dicono che scadiamo spesso nell’auto-citazionismo, che siamo sempre lì, a “raccontarci sempre le stesse cose”.
Sarà anche vero.
Ma sfido chiunque ad avere amicizie così forti.
Diffido di chi dice - Ho tanti amici. - E va vantandosi in giro di avere venti-trenta tra amici ed amiche. Perché non credo che conosca il significato vero della parola “amicizia”.
Forse mi sbaglio.
Forse è bello avere tante amicizie.
Però io sto bene così.
E non farei mai a cambio.

Neanche se mi offrissero l’agenda di “Barbino” con tutti quei benedetti profili.

29.3.07

Era inevitabile...


...che anche Vitello pubblicasse il suo blog.
Lo trovate QUI

26.3.07

Un super-market particolare.

E' quello di questo video.
Con una guest-star d'eccezione: Ben Stiller.
E' il nuovo singolo dei Travis, che segna il ritorno della band scozzese dopo alcuni anni di silenzio.
Melodia, controcori ed echi beatlesiani lo rendono un perfetto esempio di pop moderno.

24.3.07

I 300 di Leonida tra Bush ed Ahmadinejad


Ieri sera ho visto "300".
Nulla da eccepire. Gran bel film: trama che non è una vera e propria trama, ma piuttosto uno scheletro di trama (la battaglia delle Termopili – punto -), immagini evocative e potenti, fotografia dai colori saturi, colonna sonora a metà strada tra i Carmina Burana e l’heavy-metal, voce off ben integrata nella narrazione, recitazione volutamente sopra le righe.

Prima considerazione: è un film che può rinnovare il genere “peplum”.
Anche un film formalmente ed esteticamente moderno come Il Gladiatore sembra vecchio di mezzo secolo se confrontato alla forza di certe sequenze di "300".

L’uso pittorico del sangue, il ralenty e le accelerazioni portate allo spasimo, i primi piani degli elmi e degli scudi, l’accumularsi di corpi ipertrofici degli spartani disegnano una nuova estetica per questo genere di pellicola che sarà difficile ignorare per quelle che seguiranno.

Tutto contribuisce a far sentire lo spettatore lì, alle Termopili, sul campo di battaglia, in guerra, ma non in chiave realistica come in film tipo “Salvate il soldato Ryan”.
È proprio l’armamentario audio-visivo suddetto che porta lo spettatore a sentirsi in guerra e, punto assai importante, a parteggiare per la guerra.

E qui veniamo alla seconda considerazione: 300 è un film militarista.

Ogni immagine, ogni parola va in una sola direzione.

Esaltare la guerra. Il suo valore assoluto.

In questo senso è una pellicola assolutamente contro-corrente rispetto a tutte quelle che si sono viste negli ultimi 30 anni circa da Orizzonti di gloria a Full Metal Jacket, passando per Apocalypse Now.

È un punto di vista discutibile, ma è anche giusto, o quantomeno necessario, che in tempi di pacifismo dilagante e spesso di facciata (costa poco appendere alla finestra una bandiera della pace e passarsi così una mano sulla coscienza…) arrivi qualcuno e ci dica: Fermi tutti. Sì, ok, la guerra è morte e sangue e merda. Ma la guerra è anche onore, gloria, lealtà. La guerra è una delle poche occasioni che l’essere umano ha per sentirsi realmente tale. Per aspirare alla gloria eterna.

E così veniamo al terzo punto: da che parte sta "300"?
Volendogli dare una lettura contestualizzata nell’attualità, chi sono gli Spartani? Gli americani?
Ed i Persiani? Gli Iraqeni, Iraniani o comunque i nemici degli Stati Uniti d’America?

Leggendo delle critiche in giro sembrerebbe che le cose stiano così, ma, come mi facevano notare nella discussione dopo visione due divoratori di cinema come Fabricius e Dombio, le cose potrebbero non stare così.

Come dicevo, la guerra, la morte in guerra è considerata dagli Spartani un prezzo da pagare.

Il sacrificio viene accettato perché consente di ambire alla gloria eterna.
Ed allora viene da chiedersi: chi è più vicino a questo sentire? Un soldato U.S.A. od un kamikaze disposto a farsi esplodere?
Non so voi, ma… io credo più il secondo.

Quindi, nel film, gli Spartani potrebbero rappresentare quei popoli più legati alle loro tradizioni, alla difesa della loro terra, dei loro valori.
Ed i Persiani rappresenterebbero noi occidentali, corrotti, pronti a sottomettere gli altri popoli mercanteggiando (con denaro, mezzi di comunicazione e quant’altro) piuttosto che imbracciando le armi.

In altre parole Serse sarebbe Bush.

Leonida Ahmadinejad.

E non il contrario.
Quindi un film additato da parte della critica italiana come uno spettacolare spot dell’America di Bush finisce col rivelarsi, paradosso dei paradossi, anti-americano.

C’è poi un quarto punto, ma mi sono dilungato anche troppo quindi lo approfondirò un’altra volta, magari in un prossimo post.
300 è una trasposizione estremamente fedele (se non per la presenza delle creature mostruose, assenti nel fumetto, ed anche uno dei punti deboli della pellicola) della graphic-novel di Frank Miller.
Quasi tutte le inquadrature sono prese pari pari da lì.
Idem i dialoghi.
E persino la voce fuori campo.
E anche in questo "300" segna l’inizio di una tendenza (ma forse è più corretto dire prosegue una tendenza già iniziata con gli adattamenti di Sin City e di V for Vendetta).
Non si adattano più soltanto i personaggi tipo Spider Man, Barman, Fantastici 4, X-Men, costruendo sceneggiature che saccheggiano anni e anni di storie di questi eroi, ma si girano pellicole che adattano integralmente dei fumetti (o romanzi a fumetti che dir si voglia).

Pellicole dove la sceneggiatura non viene scritta ad hoc, perché già c’è.
È lì. Bella pronta.
Bisogna solo filmarla.

È un modo nuovo di rapportarsi ad un medium per troppo tempo considerato di serie b e guardato dal mondo del cinema e della tv dall’alto verso il basso.

E non è un caso che autori come lo stesso Frank Miller decidano di passare dietro la macchina da presa dopo essere stati per anni davanti al tavolo da disegno.

Forse, finalmente, qualcuno ad Hollywood (e speriamo prima o poi accada anche in Italia…) si è accorto, per dirla con le parole di Brian Michael Bendis, che “tutto ciò che si sta facendo adesso al cinema, nel fumetto è già stato fatto”.

23.3.07

Perversioni.


Siamo cresciuti guardando le avventure di un nano che tra una partita di basket ed una sfida a ping-pong mostrava una passione feticista per le mutandine bianche delle ragazzine…

In tempi non sospetti, quando Lapo Elkan doveva ancora nascere, Lady Oscar era lì a spiegarci cos’era il travestitismo…

Kelly, Sheila e Tati, le tre “occhi di gatto”, sferravano continui attacchi alla nostra già compromessa fantasia andandosene in giro a fare furti inguainate in tutine aderenti…

Abbiamo giurato che se fosse toccato a noi ricevere la visita di un’aliena sexy e procace in top tigrato come Lamù col cavolo che l’avremmo disdegnata come quel coglione di Ataru Moroboshi!

Insomma, ricapitolando, quando ancora eravamo in procinto di affacciarci all’età dello sviluppo avevamo già conosciuto indirettamente alcune delle maggiori perversioni della sfera sessuale umana.

E poi vi meravigliate se quando vedo la foto di una ragazza orientale (s)vestita da Lamù devo interrompere tutto quello che sto facendo e dedicarle…








…un apposito post?

Resistere! Resistere! Resistere!


Sì, lo so, ad essere bella è bella.

Linee sinuose, nera, scritta argentata.

Sì, è vero, ha una grafica mostruosa: il gioco di formula 1 sembra un gram premio vero e proprio, il tennis è stratosferico.

Però... 600 € sono tanti...
...oddio non tantissimi se si considera che monta un hard disk da 60 GB ed un lettore blue-ray disc.

Effettivamente non è che siano poi così tanti, è una bestia di macchina...

Devo resistere.

Devo resistere.

Devo...

22.3.07

L'ultima volta (III).


Sulla seconda carta era disegnato un cuore stilizzato, trafitto dalla punta di una lancia. – Molto bene… pare che anche in amore non se la passi tanto male, eh? – Disse il mago, lanciando un’occhiata a Visconti. Questi ebbe un attimo di esitazione, prima di rispondere. Lo sguardo malizioso di quel truffatore gli dava fastidio. Era allusivo. Era lo sguardo di chi aveva appena finito di fare visita alla sua intimità. Sua e di sua moglie. – Le cose vanno bene. Non posso proprio lamentarmi… - Tagliò corto Visconti, col solito sorriso sulle labbra, lasciando che il mago intravedesse appena quel che c’era tra lui e Christine senza saziarne la fame di curiosità.
- Mi fa piacere per lei. – Disse il Professore. – D’altronde se le cose non andassero così bene non credo che sarebbe in arrivo un altro marmocchio oltre ai due che già ha… - Visconti sobbalzò. Non poteva credere che il mago avesse indovinato anche che la moglie era in dolce attesa. - Cosa ne sa lei che mia moglie aspetta un figlio? – Chiese stizzito.
- Lo vede? Lei non ha fiducia in me, nelle mie capacità. Eppure sono certo avrà modo di ricredersi… - Sorrise il mago, passandosi la lingua tra le labbra, con un gesto che già aveva compiuto in precedenza, quando aveva fatto apprezzamenti sulla sua vita sentimentale. Era un gesto che Visconti non sopportava. Lo metteva a disagio. - Era stata una grossa sciocchezza andare a parlare con quel grasso figlio di puttana. Era giunto il momento di rimediare, uscendo da quella tenda. - Pensò. - Ha finito? - Chiese stizzito al mago - È un po’ che sono qui, e vorrei andarmene.
- No, signor Visconti, non abbiamo ancora finito. Le carte da leggere sono tre. Ce n’è ancora un’altra. E poi potrà tornare dalla sua famiglia.
- …ok. Però faccia presto. Dobbiamo rientrare a Roma. Abbiamo l’aereo stasera.
- Non si preoccupi, ho quasi finito. E poi potrà tornare da sua moglie… – Di nuovo quel sorriso viscido. Voleva fargli perdere le staffe, ma non sarebbe cascato nella trappola, avrebbe mantenuto la calma. - Pensò l’inglese.
Il mago mischiò le carte rimaste. Spaccò in due il mazzo prima di dargli un’altra mischiata. Dispose le carte in lungo sul tavolino, a formare una striscia orizzontale, ancora coperte. Vibrò le mani nell’aria, un po’ più su delle carte. Chiuse gli occhi. Allungò la mano sinistra prima su di una carta riposta sul lato destro del tavolino, poi su di una dal lato opposto. Infine, con un cambio repentino, ne sollevò una posta al centro. La scoprì e, contemporaneamente, riaprì gli occhi. Visconti non stava fissando né le carte, né le mani del mago. Ma le sue palpebre. Aspettava che queste si sollevassero per rivelarne lo sguardo. Tutto si poteva dire, ma non che quel truffatore di Obada non avesse doti teatrali. – Pensò Visconti. - Dallo sguardo avrebbe sicuramente capito se la carta era buona o no.
Purtroppo non lo era.
Lo dicevano gli occhi del mago, che avevano fatto un balzo in avanti per poter poi a fatica fare rientro tra le orbite, quasi come fosse uno dei protagonisti di quei cartoni animati tipo Willy il coyote.
Aveva un futuro come attore, il mago. Non aveva dubbi Visconti. O forse lo pensava solo per calmarsi, per tranquillizzarsi, perché la vista della carta scoperta gli aveva provocato uno sgradevole brivido lungo la schiena.
Vi era raffigurato uno scheletro giallo, che impugnava una lunga falce. Ai suoi piedi due teste ancora sanguinanti dovevano essere il frutto di quella macabra mietitura.
- C-cosa… cos’è è quel disegno? C-cosa… cosa vuol dire? È uno scherzo, non è vero? Dev’essere quel suo dannato senso dell’umorismo! – Chiese Visconti, che aveva completamente perso la calma che lo aveva accompagnato fin dal suo ingresso nella tenda del “grande” Obada.
- …Mi dispiace, signor Visconti. Mi creda… vorrei non essere io a doverglielo dire, ma… a quanto pare ricchezza e amore reclameranno un prezzo molto alto.
- Cosa diavolo sta dicendo? La smetta di parlare per enigmi! È la morte quella lì sulla carta, vero? Chi colpirà? – Il Professore chiuse gli occhi, si stava concentrando per individuare chi tra i familiari di Visconti avrebbe ricevuto la visita dell’oscura mietitrice. Passarono alcuni secondi, che a Visconti parvero non finire mai. Purtroppo l’iniziale scetticismo stava soccombendo alle suggestioni provocate dall’efficace messa in scena del mago - … Mi dispiace molto, davvero signor Visconti, ma… preferisco non rivelarle quanto ho appena visto.
- Come? Ha fatto tutto questo casino e non mi vuole dire cosa ha visto?! No! Non è possibile! Ora deve dirmi tutto! – Gridò l’inglese, ormai un’altra persona rispetto al pacato gentiluomo che si era presentato al mago solo pochi minuti prima.
- I suoi familiare. Li ho visti morire. Tutti. Ho visto i crani fracassati dei suoi due figli lungo un marciapiede, le biciclette capovolte, le ruote che ancora giravano. Ho visto sua moglie morire tra interminabili grida di dolore mentre dava alla luce il suo ultimo figlio. Poi ho visto lei, i suoi occhi spalancarsi e perdere ogni luce quando ha trovato il suo ultimogenito riverso nella culla, il viso violaceo, il collo sottile strozzato dalle lenzuola.
- … …non può essere! Lei sta mentendo! Vuole soltanto rovinarmi la giornata! Lei è un delinquente! Evidentemente è così che si diverte… Dovrebb’essere arrestato! Appena fuori di qui la denuncerò! - Fece per allontanarsi Visconti. Non voleva sapere più nulla. Non gli interessava altro che fuggire da lì. Improvvisamente lo aveva preso un bisogno urgente di riabbracciare Christine, di stringere forte Sandra e Thomas, di sentire il nascituro scalciare nel ventre di sua moglie. – Aspetti un attimo, Visconti! Si fermi! C’è un’ultima cosa che devo dirle! – Gridò il mago, cercando di fermarlo, inutilmente. – Malgrado tutto, lei è un uomo fortunato. Moriranno tutti. Tranne lei. Resterà solo, ma vivo.
- Resterà solo, ma vivo. Ora ricordo bene. Furono queste le ultime parole che le dissi, mentre scompariva dalla mia visuale, senza pagare, tra l’altro… - Disse Juarez sorridendo maliziosamente. In fondo, la visita dell’inglese poteva presentare degli aspetti positivi. Oltre ai soldi per aver perso tempo ad ascoltare quell’inutile storia, ora che si era ricordato del loro primo incontro, avrebbe anche potuto chiedergli l’onorario per la premonizione di tanti anni prima. Con tanto di sovrapprezzo per interessi e svalutazione… - Beh, ora che ci siamo ricordati del passato, vuol essere così gentile da dirmi cos’è venuto a fare qui? Si sta facendo tardi e vorrei chiudere lo studio. Devo tornare a casa. C’è mio figlio che mi aspetta.
- Vuol sapere perché sono qui? Per farle i complimenti.
- … … …
- Lei è davvero un grande vidente, come dicono qui. Se l’è proprio meritato, quel titolo di professore…
- … … …
- E sa perché? Perché… io non so come diavolo abbia fatto, ma… c’ha preso in pieno. Christine. I miei due figli, Sandra e Thomas. Anche il più piccolo, Scott… erano passati appena tre mesi dalla sua nascita... – Si fermò, Visconti, come se soltanto pronunciare i nomi dei suoi familiari gli avesse portato via la capacità di completare le frasi.
- Io…
- …sono morti. Tutti. E proprio con le modalità che aveva descritto quella maledetta domenica.
- Io… mi dispiace molto per i suoi familiari… e per lei… ma… guardi… voglio rivelarle un segreto…
- Tutti.
- ... le mie previsioni, la lettura delle carte, sono tutte cazzate. Sceneggiate provate e riprovate davanti allo specchio solo per spillare soldi a creduloni come lei. Il mondo è pieno di gente capace di credere a qualsiasi stronzata io dica.
- Tutti.
- Non crederà che abbia realmente indovinato? È successo per caso. È stato il caso. Solo uno stupido scherzo del destino… - Fece per alzarsi, Juarez. Voleva tagliare corto con quell’inglese svitato ed andarsene da lì.
- Si calmi… - Lo fermò Visconti - …professor Juarez. E non abbia fretta di andarsene. - Il tempo di completare la frase ed una 21 Bobcat calibro 22LR era apparsa nella mano destra di Visconti. Juarez strabuzzò gli occhi. Non era neanche riuscito a vedere l’inglese estrarre l’arma. - Cerchi di calmarsi, Visconti. Io non ho fatto niente. Le mie previsioni erano tutte inventate. È stato solo un caso scherzo. Una terribile causalità.
- Stia zitto! - Gli intimò Visconti continuando a puntargli addosso l’arma.
- … … …
Sa qual è il problema quando si ha a che fare con una persona che ha perso tutto?
- … … …
- Che non c’è più niente che puoi portargli via.
- La prego… si calmi. La capisco. Qualunque persona al suo posto avrebbe perso la testa. Ma deve calmarsi. La pagherò. Le darò tutto quello che ho. Ma… la prego, mi faccia tornare a casa. Mio figlio mi aspetta.
- Lei sta fraintendendo. Io non sono pazzo. E non voglio i suoi soldi. E quanto a suo figlio… non si preoccupi, Makon può aspettare. Mi creda… ha tutto il tempo del mondo, per aspettarla.
- Come conosce il nome di mio figlio? Come fa a sapere di lui?
- Non mi pare di averle dato il permesso di parlare. - Disse Visconti, la calibro 22 ancora puntata contro la fronte del mago.
- … … …
- Sa qual’è la cosa più terribile, quando perdi qualcuno di caro, eh?
- …
- Che non puoi mai sapere quando sarà l’ultima volta.
- … … …
- Mi capisci, mago? Non nel senso di “l’ultima volta che ho visto il mio amico Bob è stato tre mesi fa. O l’ultima volta che ho visto un film memorabile, che ho ascoltato una buona canzone”. Capisci cosa intendo?
- … … …
- Intendo dire l’ultima. L’ultima.
- … … …
- Nel senso che non ce ne saranno altre. Mai più. Non riabbraccerai più tua moglie, non vedrai più il sorriso dei tuoi figli. Capisci, mago?
- Ah… sì… ora capisco. Ma non vedo cosa c’entra con quello che le avevo chiesto. Le ho chiesto di mio figlio, che ne sa che ho un figlio? Che si chiama Makon?
- Sai… è proprio un ragazzino simpatico, educato, gentile. Non ha preso proprio nulla da te…
- Come…
- … sai qual è stata l’ultima volta che hai visto tuo figlio, Juarez?
- Cosa?! Cosa stai dicendo?
- Hai capito bene, fottuto stregone. Ed intendo dire l’ultima.
- … … …
- Tu non lo puoi sapere. Non ancora. Ma io sì. E’ stata stamattina. Te n’eri andato da poco. Avevi salutato tuo figlio con il solito bacio sulla fronte. Sai… a casa sembri quasi una persona perbene. Stava facendo colazione, davanti alla tv, quando mi ha visto, mi ha salutato con la manina, ha chiesto chi fossi. – Un amico di papà. - Gli ho detto.- Soltanto un amico di papà. - Gli ho risposto, mentre la lama gli attraversava la gola da una parte all’altra. È morto sul colpo. Non ha sofferto.
- Nooooo! Non può essere vero! – Si alzò in piedi, il mago, cercando di afferrare l’inglese per la camicia, ma la vista ravvicinata della canna dell’arma impugnata da Visconti lo fece desistere dall’intenzione. - Figlio di puttana! Stai mentendo! – Gridò Juarez, allungando la mano sul telefono e componendo freneticamente il numero di casa.
- Mi spiace molto per Makon. Però, in fondo… malgrado tutto… - Visconti si alzò dalla sedia. - …sei un uomo fortunato. Resterai vivo. Solo ma vivo. - Aprì la porta e, con la stessa calma con cui aveva fatto ingresso nello studio del professore, ne uscì.
Mentre Juarez rimase immobile, a fissare il vuoto, la cornetta del telefono vicino all’orecchio destro, ad aspettare che risuonasse una voce che non avrebbe più ascoltato.

21.3.07

Fino alla fine del mondo

Il primo capitolo dei "Pirati dei caraibi" era stato una sorpresa: divertente, con un ottimo ritmo ed attori, su tutti Johnny Depp, perfetti per i ripettivi ruoli.

Il secondo una mezza delusione: partiva bene, con alcune ottime trovate (l'isola dei cannibali), ma poi si perdeva per strada a causa di una trama eccessivamente ingarbugliata ed inutili lungaggini. Il finale in sospeso stile "Signore degli Anelli" faceva il resto.

Ora arriva il terzo e (forse...) ultimo capitolo di questa sorta di remake in salsa piratesca della trilogia di "Star Wars". A giudicare da questo primo trailer sembra ancora più caciarone e stracolmo di effetti speciali. Ma il solito Depp nei panni di Jack Sparrow e l'idea dei pirati orientali potrebbero salvarlo.
Staremo a vedere...

20.3.07

Prima volta.


Oggi è stata pubblicata on-line la mia prima recensione (speriamo non sia anche l'ultima...) sul sito di informazione e critica fumettistica Comicus.

Potete leggerla qui.

Ringrazio i ragazzi della redazione di questo sito, indispensabile per ogni appassionato di fumetti che si rispetti, per avermi dato quest'opportunità.

18.3.07

Come un Samurai.


La scimmia ha smesso di dare fastidio.
È bastato un colpo secco.
Una pistola non può nulla contro la lama di una katana.

Il tempo del rimuginare è finito.
Il tempo di esitare è finito.
Anche il tempo degli “e se…” non se la passa tanto bene.

I ripensamenti si sono guadagnati una meritata vacanza: che stiano fuori dalle scatole, per almeno sei mesi…
Da oggi le esitazioni non sono ammesse.
Le distrazioni neanche. O meglio, solo quelle giuste.

È il momento.
Che la paura ceda il posto alla speranza.
Che l’autocommiserazione lasci il palco libero. Ha avuto anche troppo spazio, per i miei gusti.
Che la fiducia in se stessi torni in pista. Senza la cattiva compagnia dell’arroganza, possibilmente…

In fondo, non è successo nulla di grave. Nulla a cui non sia possibile rimediare col sudore e con un po’ di sacrificio. Ma anche col sorriso con le labbra.
Guai a ripetere gli errori.
Guai a drammatizzare.
Guai a far salire troppo la tensione.

Testa sgombra.
Concentrazione.
Pensiero e azione diventano la stessa cosa.
Pensiero e azione sono la stessa cosa.
Come katana e corpo per Musashi Miyamoto.

Testa sgombra.
Concentrazione.
Pensiero. E azione.
Pensiero. E azione.
Come un samurai che, dopo un riposo forzato, torna sul campo di battaglia per difendere l’onore.

16.3.07

Io e la mia Scimmia.


Ho una scimmia aggrappata alle spalle, che non ne vuol sapere di lasciarmi stare.
Mi segue ovunque vada. Sta dietro ad ogni mio gesto.

E il problema è che mi sono abituato alla sua compagnia, rassegnato all’idea debba stare sempre insieme a me.

La mia scimmia pensa troppo, anche quando non c’è niente a cui pensare.
Anche quando si dovrebbe agire.

La mia scimmia è ipocondriaca e crede sempre di star male.
Anche i giorni in cui scoppia di salute.

La mia scimmia vede sempre nero.
Anche quando è tutto bianco.
O magari solo grigio.

La mia scimmia ha paura delle incertezze intraviste nel futuro.
E delle certezze disegnate dal passato.

La mia scimmia è indecisa ad ogni scelta.
Anche quella più semplice.
Ammesso che esistano, le scelte semplici.

La mia scimmia è un cassetto chiuso a chiave troppo presto.
Con tutto quello che c’era dentro.

Ho una scimmia aggrappata alle spalle, che non ne vuol sapere di lasciarmi stare.
Mi segue ovunque vada. Rimugina su ogni mio gesto.

E il problema è che non posso fare a meno della sua compagnia.

15.3.07

La Dama con l'Ermellino


Oggi ho visto una dama. Una dama con l’ermellino.
Beh, a dirla tutta non era proprio una dama…
Né quello che portava in braccio può definirsi un ermellino.
Piuttosto un cagnolino.
Piccolo, piccolino.
Che si affacciava dal balconcino.
E quanto era bello
quel balconcino.
E come doveva stare bene
quel cagnolino.
Alla luce del sole, al calduccio,
stretto dalla padrona
del balconcino.
Quasi quasi avrei voluto farmi piccino piccino.
Ed affacciarmi anch’io da quel caldo balconcino.

p.s. questa la capiamo in tre-quattro…

13.3.07

Tartarughe nel loro Guscio.


L’altra notte ho fatto un sogno.
Un sogno strano.

In verità più un incubo che un sogno.

Alla David Lynch, per intenderci.

Ero lì, che parlavo, spiegavo, illustravo la mia situazione, il concorso andato male, la voglia di studiare dileguatasi e non più tornata, il desiderio di rimettersi in gioco, di ripartire, cercando uno studio legale, dove mettere a frutto quanto imparato, dove far allenare la testa, ma anche far correre le gambe.

E io parlavo, parlavo e ancora parlavo.

E ammettevo gli sbagli.
Anche quelli non miei.

E puntavo il dito contro la (mala)sorte.
Contro l’ingegnere Castelli.
Contro il Cavaliere.
Contro Mastella e le sue sciarpe fucsia.
Contro i raccomandati.
Contro quelli che ce la fanno sempre e non sbagliano mai.
Contro l’Italia intera, isole comprese.

E parlavo parlavo parlavo.
E ancora parlavo.

E dall’altro lato, ad ascoltarmi, c’erano tante tartarughe.
No, a dirla tutta, non erano proprio tartarughe.
Erano essere umani, ma in un corpo di tartaruga.
O tartarughe in un corpo umano.
Tartarughe antropomorfe, tipo Ninja Turtles.
Che a stento mi ascoltavano.

E quando lo facevano, restavano ferme, immobili, chiuse nel loro guscio.

12.3.07

Lampi dal passato.

A volte affiorano dei ricordi, bagliori imprevisti.

Cose che ti tornano in mente, così all’improvviso, senza un perché.

Immagini e suoni di tanti anni fa.

Ricordavo perfettamente la musichetta. Ricordavo perfettamente i pupazzi con gli occhialoni.

Ma non il titolo dello spettacolo.

Lo guardavo quand’ero bambino. Avrò avuto sì e no quattro-cinque anni.

Però, a volte, la rete è davvero miracolosa. Cerchi e cerchi una cosa.

E alla fine la trovi.

Ora proverò a ricordare i contenuti dello show. Ho un vago ricordo di una serie che mandavano in onda divisa in mini-episodi di pochi minuti con un’ambientazione tipo isola misteriosa. Una sorta di Lost ante-litteram. Ma nulla di più.

E voi? Li ricordate i Banana Splits?


11.3.07

Elogio del Calippo...


...e della sua funzione pedagogica. Lo trovate qui.

9.3.07

La miglior difesa è l'attacco?


Quante volte capita che fai presente a una persona una mancanza, muovi una critica e, per tutta risposta, vieni attaccato, magari spostando l’attenzione su tutt’altra cosa rispetto a ciò di cui si stava discutendo?

Non so a voi, ma a me è capitato spesso.

Stai discutendo con una persona, ritieni che abbia sbagliato, sei convinto, magari erroneamente, ma in buona fede di avere ragione e, tutt’a un tratto, senza neanche rendertene conto, mentre stai parlando, ti accorgi che i termini del discorso sono ribaltati.

Sei tu ad essere messo in discussione.

Sei tu ad essere sotto osservazione.

Sei tu ad aver sbagliato.

Non importa che sull’aspetto specifico di cui stavi parlando avessi ragione. C’è sicuramente qualcosa che ti può essere rinfacciato o, comunque, le cose non stanno come dici tu perché tu puoi sbagliare e sbagli anche spesso, ma dall’altro lato no, sbagliare non rientra nelle opzioni.

È vietato.

Non fa parte del DNA.

Qualche esempio può aiutare a comprendere meglio ciò di cui sto parlando.

Frequento una ragazza. Usciamo insieme. Ci sentiamo continuamente. Ci vediamo spesso. Stiamo insieme. Ad un tratto gli atteggiamenti dall’altro lato cambiano. Certe attenzioni vengono meno. La freddezza è percepibile. Lo faccio presente. - Come si può cambiare idea da un giorno all’altro senza un motivo apparente? - Le dico. - Ma quale idea! Che stai dicendo? Non è vero. Va tutto bene. Sei tu ad essere troppo ansioso. Devi fare qualcosa per quest’ansia che ti porti dietro. Sennò diventa un problema troppo grande. - Mi risponde.
Sì, è vero. Sono un tipo ansioso. Anche se ho cercato di migliorarmi sotto questo punto di vista e, sotto certi aspetti, credo di esserci riuscito.

Quindi aveva ragione?

Non del tutto.

Perché durante quella conversazione mi veniva anche detto che tra noi non si poteva andare avanti. Quindi era vero che le cose erano cambiate, almeno da parte sua. Facevo bene ad essere preoccupato.

E cosa c’entrava in tutto questo l’ansia?

Un altro caso assai frequente è quello della sindrome dell’abbandono.
Fate attenzione, perché è molto diffuso.
Ti senti spesso con un’amica. Lei ti cerca. Tu la cerchi. Poi, improvvisamente, scompare. Per un po’ non si fa sentire. Sei sempre tu a cercarla. Glielo fai presente. Dici – Ehi, ma che fine hai fatto? Non ti fai sentire più! – La risposta, nel 99% dei casi, è una sola – Ma cosa dici? Dai, non fare così… Non farti venire la sindrome dell’abbandono! – Ti risponde.

Sindrome dell’abbandono?

Ma cos’è?

È pericolosa?

Che sintomi porta?

Starò male?

Come diavolo avrò fatto a prendermela?!

L’idea che sia stata lei a sbagliare proprio non le sfiora la testa.
O, forse, gliela sfiora, ma preferisce fidarsi del vecchio adagio secondo cui la miglior difesa è l’attacco.
Meglio ribaltare la realtà piuttosto che fare i conti con essa…

E gli esempi potrebbero continuare. C’è un caso clamoroso di difesa tramite ribaltamento della realtà di cui mi parlava qualche tempo fa El Tiburon.
Se vorrà, magari, sarà lui stesso a raccontarcelo…

Gli esempi sono intercambiabili, la sostanza no.
Attaccare è meglio che difendere.
Sempre.

E io resto lì.

A continuare a farmi una domanda.

Costa davvero così tanto dire “scusami, ho sbagliato”?

8.3.07

Alla maniera di Bendis.









Uno dei momenti migliori della mostra-mercato Mantova Comics 2007 è stato sicuramente l'incontro con il grande Brian Michael Bendis.

Bendis è attualmente uno dei più famosi scrittori di comics d'oltreoceano.

E' passato nel giro di pochi anni dal lavorare a piccole opere come Goldfish e Torso per alcune case editrici indipendenti a misurarsi con i più noti personaggi dell'universo Marvel come Spider-Man, New Avengers e, soprattutto, Daredevil per il quale, a mio parere, ha scritto alcune delle migliori storie di tutti i tempi.

L'incontro verteva sullo scrivere comics alla maniera di Bendis. Il simpatico sceneggiatore si è rivelato estremamente cordiale, ha fatto disporre tutti i presenti in cerchio intorno a lui preferendo un dialogo vivace anziché una lezione condotta dall'alto verso il basso.

Questi sono alcuni consigli che il buon Brian ha dispensato nel corso dell'incontro.

Possono essere utili per chi voglia provare a scrivere o, più semplicemente, comprendere i meccanismi che sono dietro la scrittura, ma non prendeteli per oro colato perché, come ha premesso lo stesso Bendis, Non ci sono regole sullo stile di scrittura. O meglio, ci sono, ma esistono solo per essere violate.

Si scrive per bisogno. Per se stessi. Si scrive innanzitutto per se stessi.

La prima cosa da chiedersi è: cosa voglio scrivere? Io, per esempio, scrivo ciò che vorrei leggere e non posso leggere.

Un errore frequente è quello di provare a scrivere per piacere. È come dire: piace l’arancione, allora farò qualcosa di arancione.
Non bisogna seguire le mode perché quando pubblicheranno ciò che voi avete scritto seguendo la moda, questa potrebbe essere già passata e nessuno vi leggerà. Scrivete cose che voi volete scrivere e fate in modo che la gente le scopra
.

Per chi si avvicina alla scrittura consiglio On Writing di Stephen King.

Sono una spugna della cultura pop. King ha fatto un paragone con il rock e roll. Ha detto: il rock ruba da tutti i generi musicali: jazz, country, r&b. Quando ruba da se stesso, rimane nella media, ma quando prende qualcosa dagli altri generi musicali, si eleva.
Lo stesso vale per il fumetto. Se scrivi fumetti e lo fai guardando al di fuori del mondo del fumetto, lo elevi
.

Il mio modo di scrivere fumetti è lo stesso che usavo per le sceneggiature che ho scritto per il cinema.

Fate attenzione al ritmo.

Nella Marvel ho libertà creativa. Tutto ciò che viene stampato è scritto da me. Se lavorassi nel cinema rimarrebbe solo il 40%. Chi lavora nel mondo del cinema vuole solo due cose: denaro e conservare il posto di lavoro.

Tutto quello che vedete oggi al cinema, nei fumetti è già stato fatto.

7.3.07

Cartoline da Mantova.


Il grande Brian Michael Bendis (di cui parlerò diffusamente in uno dei prossimi post), special guest-star della mostra e geniale sceneggiatore, tra le altre, di serie come Ultimate Spider Man, Daredevil, New Avengers e Powers


Megatavolo con al lavoro alcuni big del fumetto italiano ed internazionale: tra gli altri Bendis, Camuncoli, Dell'Otto, Fiorentino


Roberto Recchioni (noto anche come RRobe) ideatore di John Doe, Detective Dante e Garrett, futuro sceneggiatore di Dylan Dog (nonché una delle figure ispiratrici di questo blog) alle prese contemporaneamente con schizzi e telefonate


Il grande (in tutti i sensi...) Riccardo Burchielli, tra i più acclamati disegnatori dell'ultima generazione (per i suoi lavori su John Doe, Garrett, DMZ) al lavoro su un ritratto di Garrett richiesto dal sottoscritto


Brian Michael Bendis incontra due sue vecchie conoscenze: l'avvocato Matt Murdock ed il suo alter ego mascherato Daredevil


Direttamente dalla saga di Guerre Stellari due singolari figure robotiche si aggirano per la fiera

2.3.07

Parenti, amici e tanti guai.


Parto.

Sarò via per qualche giorno, a trovare parenti e amici tra Mantova e Brescia.

Andrò anche a fare un giro ad una mostra-mercato del fumetto giovane, ma di cui si dice un gran bene. E questi sono i guai di cui al titolo. Perché le mostre-mercato sono davvero un bel problema per il mio portafogli...

Tornerò a postare verso la metà della settimana prossima.
Non fate casini in mia assenza...

1.3.07

Di maestri, regole e tutto quanto.




Se dovessi indicare due pellicole che non mi stanco mai di rivedere, di cui ogni volta apprezzo sempre nuovi dettagli, non esiterei ad indicare queste due: Out of Sight e Jackie Brown.

Della prima mi piace il montaggio, il fatto che la narrazione proceda a scatti, andando avanti ed indietro e che per collocare cronologicamente una sequenza si debba guardare la lunghezza dei capelli di George Clooney.

E poi c’è dentro una delle scene più sexy della storia del cinema: George Clooney, il ladro, tenta un approccio con Jennifer Lopez, la detective, fingendosi qualcun altro.
Anche lei finge di essere qualcun altro.

Tutti e due fingono.

Anche se entrambi conoscono la verità (già si sono incontrati/scontrati più volte nel corso del film). E, mentre parlano, inframezzate con le sequenze e con l’audio del dialogo, il montaggio ci fa vedere ciò che, di lì a breve, succederà tra i due…

Di Jackie Brown mi piace il fatto che sia diverso da tutti gli altri film di Tarantino.
Ha un ritmo lento, un tono misurato, non esasperato e nevrotico come Le Iene o Pulp Fiction.
C’è un De Niro fortissimo nella parte del tipo perennemente fatto, dalla prima all’ultima scena.
C’è il finale strepitoso, con la stessa sequenza vissuta dal punto di vista dei diversi protagonisti, dichiarato omaggio al Kubrick di Rapina a Mano Armata.
E poi c’è la colonna sonora, forse la più irresistibile tra tutte quelle (peraltro magnifiche) che accompagnano le pellicole del regista italo-americano.

È anche l’unico film di Tarantino a non avere un soggetto ideato dallo stesso regista-sceneggiatore.

E così veniamo a quel signore anziano che vedete raffigurato quassù.

Si chiama Elmore Leonard e, a più di ottant’anni, è ancora in grado di sfornare romanzi coinvolgenti, pieni di ritmo e dai protagonisti indimenticabili come, per citarne solo alcuni, Tishomingo Blues e Hot Kid.
I due film di cui ho parlato finora sono tratti da altrettanti suoi romanzi e ne sono particolarmente fedeli (specialmente Jackie Brown).
Sicuramente riescono a mantenere quello che è il più grande punto di forza della scrittura di Leonard: i dialoghi.

Elmore Leonard è il miglior dialoghista del mondo.

Se i suoi personaggi riescono ad essere così vivi è perché parlano.

Parlano.
Parlano.
Parlano.

Ma non di cose distanti o di massimi sistemi.
Parlano di hip-hop, di basket, di film, di soul, di country.

E questo contribuisce a renderli simili a noi. E perciò ancora più vivi.

Tarantino, anche lui uno che fa parlare tanto i protagonisti dei suoi film, non ha inventato nulla. Semplicemente, per sua stessa ammissione, ha letto, sin da ragazzino, tantissimo Leonard.
Dai suoi romanzi western (purtroppo ancora in gran parte inediti in Italia) ad i suoi noir intricati, fitti di personaggi, dove ognuno vuole fregare l’altro ed i giochi finiscono sempre per scompaginarsi per piccoli dettagli del caso.

Quindi, se trovate spesso in questo blog pezzi pieni di dialoghi, è perché sto provando ad imparare, anche se con esiti tra il goffo ed il disastroso, da Elmore Leonard.

Dal maestro Elmore Leonard.

Ah, dimenticavo.
Un po’ di tempo fa il maestro ha scritto delle regole.

Dieci semplici regole da seguire per chi vuole provare a scrivere.
Le ho tradotte, stampate ed attaccate alla lavagna magnetica, alla sinistra della mia postazione di studio/lavoro.

Eccole qui:
1. Mai aprire un libro con le condizioni del tempo.

2. Evita i prologhi.

3. Non usare mai un verbo diverso da "ha detto" per portare avanti un dialogo.

4. Non usare un avverbio per specificare il verbo "ha detto".

5. Tieni i punti esclamativi sotto controllo.

6. Mai usare le espressioni "improvvisamente" o "è scoppiato l’inferno".

7. Usa il dialetto regionale, il patois, con parsimonia.

8. Evita le descrizioni dettagliate dei personaggi.

9. Non scendere in troppi dettagli nel descrivere luoghi e cose.

10. Cerca di lasciar fuori tutto ciò che i lettori tendono saltare.

Beyoncé e Shakira insieme...

e ho detto tutto!