31.3.07
I peggiori anni della nostra vita.
Non mi piacciono i diari.
Anche in questo spazio, per quanto non manchi una componente “diaristica”, cerco sempre di riportare gli aneddoti e le esperienze personali in un contesto più ampio, in una dimensione universale che possa coinvolgere maggiormente chi legge queste pagine.
Non amo i diari. Non mi sono mai piaciuti.
Per questo mi sono meravigliato, quando, qualche giorno fa, ho messo un po’ d’ordine tra le cose vecchie ed ho trovato un quadernetto ingiallito che si apre così: “Ho deciso di iniziare questo nuovo quaderno con delle considerazioni che esulano dallo spazio dedicato ad idee, soggetti e cose varie. Infatti credo sia necessario parlare un po’ della scuola, che ai miei occhi sta assumendo sempre più l’aspetto di un vero e proprio manicomio. Non trovo altre parole adatte a giudicare la follia di insegnanti come la prof. M******a un vero e proprio caso di schizofrenia ed alteriosclerosi precoce che sta trasformando questi ultimi giorni di scuola in un piccolo inferno, fortuna che abbiamo un’arma segreta che ci consente di sopravvivere ogni giorno, l’ironia (…), che ci aiuta sempre nei momenti più difficili (…)”.
Credo che le pagine si riferiscano agli ultimi giorni del primo liceo, circa tredici anni fa.
Dovevo stare davvero male per scrivere queste cose, io che riempivo i quaderni di idee demenziali e spunti per parodie tipo “Senza esclusione di crampi” e “Il calamaro”.
Colpa di insegnanti che non erano bravi a fare il loro mestiere.
Insegnare è difficile. È forse uno dei mestieri più difficili che ci sia.
Ci può stare che si commettano degli sbagli, che non si riesca a farsi capire.
Però ci sono due cose in cui un insegnante non può essere carente: deve avere equilibrio.
E deve saper giudicare bene i propri alunni.
La prof. di cui parlo in quelle pagine, che per convenzione chiameremo “Skizzata”, non era equilibrata. Per niente.
Un giorno era la persona più buona e ragionevole del mondo.
E tu eri il miglior alunno possibile.
Il giorno dopo era una belva sanguinaria alla quale avresti potuto pittare il mondo senza che la sua rabbia si placasse.
E tu, per quanto ti sforzassi, non potevi fare nulla. In quei giorni lì, eri feccia.
Da qui il senso di precarietà e di frustrazione che traspare in quelle righe.
Se non ha equilibrio chi è chiamato a trasmettertelo, come fai ad averne tu?
Poi c’era il prof. del ginnasio, che per convenzione chiameremo “Barbino”, per via della barba che si accarezzava ripetutamente, neanche fosse la fottuta lampada di Aladino dalla quale doveva uscire il fottuto genio.
Iniziai male con lui.
Preparazione insufficiente, risposte zoppicanti.
Le prime interrogazioni furono un disastro.
Però ce la misi tutta, per risalire la china.
Ricordo di un’interrogazione quasi-perfetta. Tutte le risposte giuste.
Tutte tranne una.
Da ciò quel quasi.
- Accidenti! Peccato per quella risposta… - Esclamò “Barbino” grattandosi la barba e sfogliando la malefica agenda sulla quale tracciava i nostri profili.
- Ma… professore, solo un errore… su che voto sono? - Chiedevo preoccupato per l’espressione scura dipinta sul suo volto.
- … - Di nuovo accarezzandosi la barbetta - …beh, direi un 6. Vabbè… facciamo 6+.
Il massimo che potevo raggiungere era 6+. Non c’era nulla da fare.
Ero uno da 6 stentato. Uno da 6+ al massimo. Doveva essere scritto così, nella sua agenda, ne sono certo.
E nella sua testa.
Quei profili erano pieni di cazzate.
Perché “Barbino” era un perfetto esempio di professore che non sa valutare i propri alunni.
O almeno non tutti.
Ma erano tanti i casi come il mio.
Se fosse stato un profiler dell’F.B.I. non avrebbero mai più beccato un serial-killer in tutti gli stati Uniti d’america, ne sono convinto.
Però…
Però sarebbe sbagliato liquidare gli anni del liceo come i peggiori.
È vero, inutile nasconderlo, ho dovuto mandar giù tanta merda.
Però in quegli anni sono nate amicizie che sono ancora incredibilmente vive.
E dopo quattordici-quindici anni di tempo, non è una cosa da poco.
I migliori amici che ho, quelli più importanti, li ho conosciuti in quegli anni.
Sono come fratelli (e NON E’ retorica...).
In quelle piccole battaglie quotidiane combattute tra le mura scolastiche si è forgiato un senso di solidarietà che ha fortificato, giorno dopo giorno, la nostra amicizia.
Ci basta uno sguardo, una parola, un movimento impercettibile della testa per capirci al volo.
I maligni dicono che scadiamo spesso nell’auto-citazionismo, che siamo sempre lì, a “raccontarci sempre le stesse cose”.
Sarà anche vero.
Ma sfido chiunque ad avere amicizie così forti.
Diffido di chi dice - Ho tanti amici. - E va vantandosi in giro di avere venti-trenta tra amici ed amiche. Perché non credo che conosca il significato vero della parola “amicizia”.
Forse mi sbaglio.
Forse è bello avere tante amicizie.
Però io sto bene così.
E non farei mai a cambio.
Neanche se mi offrissero l’agenda di “Barbino” con tutti quei benedetti profili.
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