1.3.07

Di maestri, regole e tutto quanto.




Se dovessi indicare due pellicole che non mi stanco mai di rivedere, di cui ogni volta apprezzo sempre nuovi dettagli, non esiterei ad indicare queste due: Out of Sight e Jackie Brown.

Della prima mi piace il montaggio, il fatto che la narrazione proceda a scatti, andando avanti ed indietro e che per collocare cronologicamente una sequenza si debba guardare la lunghezza dei capelli di George Clooney.

E poi c’è dentro una delle scene più sexy della storia del cinema: George Clooney, il ladro, tenta un approccio con Jennifer Lopez, la detective, fingendosi qualcun altro.
Anche lei finge di essere qualcun altro.

Tutti e due fingono.

Anche se entrambi conoscono la verità (già si sono incontrati/scontrati più volte nel corso del film). E, mentre parlano, inframezzate con le sequenze e con l’audio del dialogo, il montaggio ci fa vedere ciò che, di lì a breve, succederà tra i due…

Di Jackie Brown mi piace il fatto che sia diverso da tutti gli altri film di Tarantino.
Ha un ritmo lento, un tono misurato, non esasperato e nevrotico come Le Iene o Pulp Fiction.
C’è un De Niro fortissimo nella parte del tipo perennemente fatto, dalla prima all’ultima scena.
C’è il finale strepitoso, con la stessa sequenza vissuta dal punto di vista dei diversi protagonisti, dichiarato omaggio al Kubrick di Rapina a Mano Armata.
E poi c’è la colonna sonora, forse la più irresistibile tra tutte quelle (peraltro magnifiche) che accompagnano le pellicole del regista italo-americano.

È anche l’unico film di Tarantino a non avere un soggetto ideato dallo stesso regista-sceneggiatore.

E così veniamo a quel signore anziano che vedete raffigurato quassù.

Si chiama Elmore Leonard e, a più di ottant’anni, è ancora in grado di sfornare romanzi coinvolgenti, pieni di ritmo e dai protagonisti indimenticabili come, per citarne solo alcuni, Tishomingo Blues e Hot Kid.
I due film di cui ho parlato finora sono tratti da altrettanti suoi romanzi e ne sono particolarmente fedeli (specialmente Jackie Brown).
Sicuramente riescono a mantenere quello che è il più grande punto di forza della scrittura di Leonard: i dialoghi.

Elmore Leonard è il miglior dialoghista del mondo.

Se i suoi personaggi riescono ad essere così vivi è perché parlano.

Parlano.
Parlano.
Parlano.

Ma non di cose distanti o di massimi sistemi.
Parlano di hip-hop, di basket, di film, di soul, di country.

E questo contribuisce a renderli simili a noi. E perciò ancora più vivi.

Tarantino, anche lui uno che fa parlare tanto i protagonisti dei suoi film, non ha inventato nulla. Semplicemente, per sua stessa ammissione, ha letto, sin da ragazzino, tantissimo Leonard.
Dai suoi romanzi western (purtroppo ancora in gran parte inediti in Italia) ad i suoi noir intricati, fitti di personaggi, dove ognuno vuole fregare l’altro ed i giochi finiscono sempre per scompaginarsi per piccoli dettagli del caso.

Quindi, se trovate spesso in questo blog pezzi pieni di dialoghi, è perché sto provando ad imparare, anche se con esiti tra il goffo ed il disastroso, da Elmore Leonard.

Dal maestro Elmore Leonard.

Ah, dimenticavo.
Un po’ di tempo fa il maestro ha scritto delle regole.

Dieci semplici regole da seguire per chi vuole provare a scrivere.
Le ho tradotte, stampate ed attaccate alla lavagna magnetica, alla sinistra della mia postazione di studio/lavoro.

Eccole qui:
1. Mai aprire un libro con le condizioni del tempo.

2. Evita i prologhi.

3. Non usare mai un verbo diverso da "ha detto" per portare avanti un dialogo.

4. Non usare un avverbio per specificare il verbo "ha detto".

5. Tieni i punti esclamativi sotto controllo.

6. Mai usare le espressioni "improvvisamente" o "è scoppiato l’inferno".

7. Usa il dialetto regionale, il patois, con parsimonia.

8. Evita le descrizioni dettagliate dei personaggi.

9. Non scendere in troppi dettagli nel descrivere luoghi e cose.

10. Cerca di lasciar fuori tutto ciò che i lettori tendono saltare.

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