29.4.07
Figli di Nagai.
Uno degli eventi (se non L’EVENTO) dell’edizione del Comicon che in queste ore è alle battute conclusive è stato sicuramente l’incontro con Go Nagai, l’autore giapponese inventore di alcuni degli anime più famosi di tutti i tempi.
Non amo la tendenza ad idolatrare, a chiunque si riferisca.
Così venerdì, quando stavo per prendere parte all’incontro col maestro nipponico, ero assolutamente tranquillo e distaccato.
In fondo era un autore come tanti, che si sarebbe rivelato, come altri autori di fumetti incontrati in questi anni, una normalissima (anche banale) persona comune.
Poi però è successo qualcosa: stipato nella fila insieme ad altre centoquarantanove persone, tra cori che inneggiavano a Mazinga Z, citazioni di Jeeg Robot d’acciaio, magliette raffiguranti i robot più famosi di tutti i tempi ed albi di Devilman, ho improvvisamente dovuto prendere coscienza che quello non era un incontro come gli altri.
Perché Go Nagai non è un autore come tanti altri.
Ma è molto di più.
Go Nagai, per tutti quelli che, come me, sono nati alla fine degli anni settanta (ma anche nei primi anni ottanta) è una sorta di padre spirituale.
Generazioni precedenti e successive alla mia sono cresciute con le trasposizioni a cartoni animati di celebri fiabe targate Walt Disney.
Per me e tanti altri, no.
Non è stato così.
Siamo cresciuti guardando le avventure di Goldrake.
Di Mazinga.
Di Jeeg Robot d’acciaio.
Di Devilman.
Tutte creature di Nagai.
Erano avventure spesso dai toni forti.
Dove dietro (e dentro) quei robot apparentemente invincibili c’erano uomini fatti di carne e sangue che sudavano e lottavano.
Dove l’umorismo era spesso spiazzante e non sempre comprensibile per noi occidentali.
Dove, talvolta, anche un pizzico di erotismo faceva capolino.
Dove, se è vero che il bene alla fine trionfava sempre (ma neanche tanto… basti pensare a Devilman), è anche vero che il più delle volte lo faceva pagando un prezzo molto alto.
E così ho capito, come in un’epifania tardiva ma non per questo meno emozionante, che in quelle canzoni gridate stonando, in quelle magliette sudate, in quei volti di robot ostentati con orgoglio c’era la voce non solo di semplici appassionati, ma di un’intera generazione che andava ad abbracciare un padre ritrovato.
Cui si vuole bene sempre e comunque.
Anche quando per ricevere un autografo, lo schizzo di un micro-profilo di Goldrake, stringerli la mano ed infine salutarlo inchinandoti e dicendogli "Maestro" (tutto questo nell'arco di ventisei-ventisette secondi), devi fare più di due ore di fila stretto da una morsa di fanatici, incasellato nello spazio ristretto di un angusto corridoio, sotto il calore di luci più calde dei propulsori di Mazinga...
Letture Future.
28.4.07
Né carne Né pesce.
Il sole sta morendo.
Otto astronauti a bordo della navicella spaziale "Icarus II" (un nome che è tutto un programma...) devono portare a termine una missione impossibile: avvicinarsi al sole e sganciare un ordigno che, esplodendo, darebbe vita ad un nuovo sole.
La precedente missione, affidata all'Icarus I, è fallita ed il relativo equipaggio è scomparso senza lasciare traccia.
L'Icarus II è l'ultima speranza dell'umanità.
Detta così sembrerebbe una sorta di Armageddon, ma non è così.
Le riprese dall'esterno delle navi spaziali rimandano a 2001 Odissea nello spazio.
Il clima claustrofobico all'interno dell'Icarus II ricorda Alien.
Le svolte nella sceneggiatura con progressiva uccisione dei vari membri dell'equipaggio è più simile ad uno di quegli horror di ultima generazione alla Scream dove devi indovinare chi arriverà alla fine.
Ed il limite principale del film è proprio questo.
Parte lento con rimandi alla fantascienza "pura" delle pellicole citate.
Poi accelera e si trasforma in un horror.
Per arrivare ad un finale cataclismatico e pseudo-ecologista.
Non è un brutto film, ma il suo limite principale è questo: nella ricerca di un equilibrio tra fantascienza psicologica ed horror non riesce ad essere né un buon esempio di film del primo tipo né del secondo.
Ed è un peccato.
Perché è triste, ma ogni volta che dobbiamo indicare un gran film di fantascienza siamo costretti a tornare con la memoria indietro di venti e passa anni e citare sempre gli stessi film.
Perché alcune trovate nel film non sono male, su tutte la poetica del sole e certe soluzioni di regia e montaggio inusuali per un film di questo genere.
Perché è sicuramente più riuscito di tanti film di fantascienza degli ultimi anni (ricordate "Sfera" e "Mission to Mars"? No? Meglio...), ma non tanto da poter stare affianco dei capisaldi del genere.
Probabilmente il problema di fondo di questo come di tanti film degli ultimi anni è sempre lo stesso: le sceneggiature originali non sono solide, ma piene di buchi narrativi e, soprattutto, incerte e zoppicanti sulla direzione da far seguire alla storia che si vuole raccontare.
E così anche questo "Sunshine" nel voler raccontare troppo e nel voler ambire a competere con classici finisce, proprio come l'Icaro della mitologia, col bruciarsi.
27.4.07
Nel segno del Blu.
Prende il via oggi la nona edizione del Comicon "Salone internazionale del fumetto e dell'animazione", che da quest'anno non è più dedicata, come per il passato agli autori provenienti da una specifica nazione, ma ad uno dei colori del fumetto, stavolta il Blu.
Per tre giorni Napoli diventa capitale del fumetto, forse per l'ultima volta viste le voci insistenti che ipotizzano uno spostamento della mostra a Roma, Firenze o Bologna.
Sarebbe un vero peccato perché Napoli perederebbe uno dei pochi eventi culturali che possa realmente definirse tale, nonché quello che è diventato, anno dopo anno, un appuntamento imperdibile per tutti gli appassionati.
25.4.07
Lo Schermo Sbagliato (4).
Ricordi dove eravamo rimasti?
Ci eravamo lasciati con qualcosa che suonava più o meno così:
“IL CINEMA AMERICANO DA SOLO NON È PIÙ CAPACE D’INFLUENZARE IL NOSTRO IMMAGINARIO”.
E poi avevamo aggiunto:
“LA TELEVISIONE E’ IN GRADO DI FARLO”.
Il punto, quindi, adesso è questo: la televisione può influenzare l’immaginario collettivo più del cinema.
Ma come riesce a farlo?
E, soprattutto, è davvero così?
Mai come in questo caso, alcuni esempi valgono più di mille parole.
Oggi partiamo col primo.
Lascia correre l’immaginazione.
Stai guardando un film, un thriller, uno di quelli in cui avvengono degli omicidi e bisogna scoprire il colpevole.
Chi è che scopre il colpevole, nel novanta per cento dei casi?
Un detective, spesso una coppia, quello giovane e quello anziano, il più delle volte.
C’è una scena fissa, in quasi tutti questi film, quella in cui viene ritrovata una delle vittime.
Riesci a ricordare la scena in questione in un tipico thriller diciamo degli anni ottanta o novanta?
Bene.
Non ci riesci?
Ti do una mano io.
Hai visto “Seven” o “Basic Instinct”?
Uno dei due l’avrai visto, no?
Ecco, in entrambi questi film, sono presenti scene come quella di cui sto parlando (in “Seven” ce n’è più d’una, per la verità, ed è abbastanza difficile dimenticarsene…)
Adesso prova a ricordare questa scena, ed alcuni suoi dettagli.
C’è un cadavere, disteso da qualche parte, di solito coperto.
Ci sono diverse persone che vi passano attorno, poliziotti, fotografi.
Al centro della scena, in primo piano, non puoi sbagliarti, c’è il detective (o come abbiamo già detto la coppia di detective): che si tratti di Michael Douglas, Brad Pitt o Morgan Freeman non ha importanza.
Ciò che importa è che il detective è al centro della scena.
È al centro dell’attenzione.
È al centro della storia.
Ci sei?
Bene.
Ora allarga la visuale.
Le vedi quelle figure rannicchiate, piegate sulle ginocchia, che scattano foto o depositano cartellini numerati e pronunciano frasi standard tipo: “E’ morto poco dopo la mezzanotte”?
Bene.
Non le ricordi?
Perfetto.
Perché è proprio questo il punto.
Quelle figure, nei thriller, hanno sempre avuto un ruolo di quarto-quinto piano.
Non possono definirsi co-protagonisti, sono solo figuranti.
Spesso il volto degli attori che li interpretano non è neanche inquadrato dal regista.
Ora guarda quest’immagine:
Li vedi?
Belli, dritti, fieri di sé, in primo piano.
Sono uomini della scientifica, proprio come quelle figure rannicchiate dei thriller di cui stavamo parlando…
E, stavolta, sono loro ad essere i protagonisti.
Sono loro ad essere al centro della scena.
Sono loro a risolvere i casi.
Sono i protagonisti della serie televisiva C.S.I., certamente ti sarà capitato di vederne qualche puntata.
Erano solo topi di laboratorio, figure di secondo piano di ogni thriller cinematografico che si rispetti, finché a qualcuno non è venuta la geniale idea di renderli protagonisti di una serie tv, mettendo in soffitta i classici detective con le loro intuizioni irrazionali e lasciando che a risolvere i casi fossero loro, grazie a tracce di sangue, residui organici, capelli ed altre amenità…
Risultato? Una delle serie televisive di maggior successo di tutti i tempi, al punto da generare ben due spin-off: C.S.I. MIAMI e C.S.I. NEW YORK.
Gli effetti sull’immaginario collettivo?
Dirompenti.
Basterebbe già il confronto fra le immagini che ho proposto a far capire quanto questa serie tv abbia rovesciato alcuni luoghi comuni del thriller rimpiazzando nell’immaginario i classici detective d’azione con uomini più pronti alla riflessione.
Ma, al di là del gioco delle immagini, è indiscutibile che ormai, quando pensiamo alla soluzione di un caso di omicidio, non possiamo fare a meno di pensare che questa passi inesorabilmente attraverso esami al microscopio, prove del D.N.A., ritrovamento di tracce di paraffina.
Che ciò succeda anche nella realtà è poco importante.
La televisione è arrivata prima ed ha imposto al pubblico una nuova visione del genere thriller, dove i meccanismi di base sono sì sempre gli stessi, ma sono cambiati i protagonisti ed i relativi metodi.
Ci sei ancora?
Bene, perché prima di andare avanti faremo qualche altro esempio, affinché sia chiaro come le serie tv hanno, giorno dopo giorno, puntata dopo puntata, modificato il nostro modo di percepire certi generi narrativi e, talvolta, anche la realtà.
Tieniti forte perché anche la prossima volta dovrai impegnarti e lavorare con l’immaginazione.
Ma stavolta voglio darti un po’ più di tempo e anticiparti la domanda che ti avrei fatto.
Ma tu, fino a pochi anni fa, se avessi avuto male a un piede od alla pancia, ti saresti fidato di un dottore come questo?
22.4.07
Andiamo a prenderci il mondo!
“Se vuoi qualcosa, vai. E prenditela”.
Conosco un po’ di gente che ha talento in quello che fa.
Gente che ci mette impegno, costanza, serietà, passione in quello che fa.
Che si tratti di dare voce a testi di leggi attuali o a testi letterari di molti secoli fa, di far parlare le macchine, di viaggiare o far viaggiare, di curarci o studiare come curarci o di formare le nuove generazioni, non conta più di tanto.
Ma quando poi allargo lo sguardo e provo a guardare qual’è il nostro posto nel mondo mi scontro con una realtà tanto desolante quanto inconfutabile.
Siamo l’ultimissima ruota del carro.
Peggio, siamo la ruota di scorta di una vettura le cui gomme non si consumano mai.
Non si bucano mai.
Non voglio stare qui a ripetere cose trite e ritrite tipo che siamo un Paese governato (a tutti i livelli) da vecchi.
Anche se mi pare un dato di fatto difficilmente controvertibile.
Però credo anche che abbiamo delle colpe in tutto ciò.
Siamo passivi, apatici, rassegnati a vivere un copione scontato e prevedibile come un episodio di “Un medico in famiglia”.
Generazioni precedenti alla nostra hanno combattuto battaglie per qualcosa di più grande..
Per cose importanti.
I metodi potevano piacere o meno, ma è indiscutibile che lo abbiano fatto.
E i loro sogni…
Ho la sensazione che fossero più grandi dei nostri.
Dove voglio arrivare con questo sproloquio?
A nessun approdo di assoluta verità, ma solo ad un piccolo punto di partenza.
Se vogliamo delle cose, dalle più insignificanti a quelle più importanti, dobbiamo alzarci.
E andarle a prendere.
Perché qui nessuno verrà a darci una mano.
Nessuno che sia già “arrivato” sarà DAVVERO disposto ad aiutarci.
Alzarci e andarle a prenderle.
Da oggi questo sarà il mio motto e me la prenderò solo con me stesso se non riuscirò a realizzare i miei obiettivi (se e quando li avrò, ovviamente...)
Al bando la sorte.
È solo l’alibi preferito dai perdenti.
Il mondo è lì, a portata di mano.
E noi dobbiamo solo andare a prenderlo.
Magari un altro giorno, però. Oggi mi sono svegliato stanco…
Capo Comino, 17.8.05
E’ un muro delle meraviglie, questo posto.
Cammino nell’acqua.
Dietro di me, dune bianche innaffiate da spruzzi di verde.
Davanti, il mare, a racchiudere in sé tutte le sfumature che può assumere il cielo.
Dall’azzurro albeggiante al blu della notte.
E poi, il suono del mare, capace di ridurre il frastuono provocato dalle angosce passate ad un bisbiglio sempre più lontano.
Niente più ieri.
Né domani.
All’improvviso conta solo essere.
Qui.
Ora.
E adesso.
20.4.07
Spensieratezza.
Di una commedia un pò idiota, senza pretese, che strappi un bel pò di risate.
Di una commedia come questa:
19.4.07
Come Maradona?
Lo avrete già visto sicuramente da qualche altra parte, ma è davvero troppo bello per non postarlo.
18.4.07
Meteorine e Dignità!
Non so chi sia, ma quest'uomo è un grande!
Peccato che la scarsa qualità del filmato impedisca di vedere bene l'espressione vitrea calata sul volto dell'Emilio nazionale...
17.4.07
Lo Schermo Sbagliato (3).
Che cos’hanno in comune Spider-Man, la trilogia del Signore degli Anelli e le varie pellicole dedicate ad Harry Potter, oltre al fatto di essere alcuni dei più grossi successi cinematografici degli ultimi anni?
Sono tutti film che nascono da territori diversi da quelli del cinema.
Sono film che adattano per il grande schermo idee e personaggi che hanno avuto origine altrove.
Un altrove che è rappresentato dai fumetti per Spider-Man.
Dai romanzi per Il Signore degli Anelli ed Harry Potter.
Quindi, ricollegandoci a quanto si era detto l’ultima volta, non sono prodotti cinematografici “autoctoni”.
Ti vedo dubbioso, posso intuire quale obiezione stai per sollevarmi: “saranno anche film non autoctoni, ma hanno, almeno per le nuove generazioni, la stessa capacità d’influenzare l’immaginario che hanno avuto per te i film che hai citato la volta scorsa”.
È un’obiezione che, almeno a prima vista, non fa una piega.
Nessuno può mettere in discussione che il maghetto con la sciarpa giallo-rossa, il buon vecchio tessiragnatele e l’allegra compagnia capitanata dall’hobbit Frodo Beggins siano personaggi entrati a far parte a pieno titolo dell’immaginario collettivo.
Ma sei sicuro che tutto questo sia dovuto al cinema?
Io non ne sono convinto…
Prova a seguirmi un attimo: immagina per un momento che non sia uscito nelle sale nessuno dei due (tre con quello di prossima uscita) film dedicati all’Uomo Ragno.
Riusciresti comunque ad immaginare l’arrampicamuri mentre volteggia tra le strade di New York grazie alle sue ragnatele?
Io dico di sì.
Perché le sue gesta erano lette da milioni di lettori in tutto il mondo già molto tempo prima che uscissero le pellicole a lui dedicate.
Perché è un personaggio che esiste da molto tempo prima che Hollywood si accorgesse della sua esistenza.
E che continuerà ad esistere, anche quando il cinema smetterà di occuparsi di lui.
Ma lo stesso vale per Harry Potter, che era già un clamoroso fenomeno editoriale degli ultimi anni quando ancora le relative trasposizioni cinematografiche non erano ancora state messe in produzione.
Ed anche la trilogia tolkeniana aveva conquistato milioni e milioni di appassionati in tutti gli angoli del mondo molti anni prima di fare la sua apparizione in veste di film.
Capisci cosa intendo dire?
Il cinema, con questi film, non ha influenzato nessun immaginario, perché quell’immaginario che avrebbe dovuto forgiare era già nello che pronto.
Era già nato e cresciuto attraverso la lettura di quei libri e di quei fumetti.
Però una cosa va ammessa: non si può negare che il cinema abbia avuto un importante effetto catalizzatore rispetto a quelle opere ed a quei personaggi, diffondendoli in un territorio fisico ed immaginario molto più grande di quello in cui erano nati.
Quindi in questo senso, soltanto in questo senso, si può dire che il cinema americano sia ancora in grado d’influenzare l’immaginario.
Ma si tratta, per tutto quanto abbiamo detto, di una capacità molto più ridotta di quella che aveva quando produceva i vari E.T., Indiana Jones, Guerre Stellari.
Se non altro perché dimostra una un’enorme debolezza nel dover ricorrere ad idee e personaggi che nascono nei fumetti e nei libri.
E gli esempi potrebbero continuare con le pellicole ispirate ai videogiochi, ai personaggi dei cartoni animati.
Persino alle giostre!
Sì, hai capito bene! Alle giostre!
Pirates of the Caribbean, un altro dei maggiori successi cinematografici di questi anni, è ispirato ad un’attrazione a tema della Disney.
Ormai sono talmente tante le pellicole “ispirate a” che si potrebbe abbandonare la classificazione nei tradizionali generi (avventura, thriller, drammatico, commedia, ecc.ecc.) per dividere i film in: ispirati a fumetti, ispirati a romanzi, ispirati a videogiochi, ispirati a serie tv.
In altre parole, anche se è triste dirlo, il cinema è sempre più a corto di idee.
Ed è sempre meno in grado, da solo, d’influenzare il nostro immaginario.
Quindi, torniamo alla frase di “lancio” del nostro discorso, te la ricordi?
“IL CINEMA AMERICANO NON È PIÙ CAPACE D’INFLUENZARE IL NOSTRO IMMAGINARIO”.
Possiamo tranquillamente correggerla, come avevo anticipato la volta scorsa, così: “IL CINEMA AMERICANO DA SOLO NON È PIÙ CAPACE D’INFLUENZARE IL NOSTRO IMMAGINARIO”.
Ci sei?
Bene, perché siamo solo all’inizio.
Da qui a breve, se avrai ancora un po’ di pazienza, ti farò vedere che, se è vero che “IL CINEMA AMERICANO DA SOLO NON È PIÙ CAPACE D’INFLUENZARE IL NOSTRO IMMAGINARIO”, è altrettanto vero che, invece, sì, “LA TELEVISIONE E’ IN GRADO DI FARLO”.
Non sei convinto?
Ti apparirà tutto più chiaro la prossima volta, quando parleremo di come un imbolsito signore di mezz’età, tra provette e microscopi, è riuscito a fare le scarpe a ben più noti detective di tanti film gialli.
Piccole gemme che splendono ancora.
Ieri pomeriggio ho letto la prima storia contenuta nel quarto numero della Grande Ristampa di Dylan Dog.
Si tratta di "Attraverso lo Specchio", una delle più belle storie dell'Indagatore dell'Incubo di tutti i tempi.
Saranno passati dieci anni da quando l'ho letta la prima volta, in occasione della sua prima ristampa, ed è incredibile come un albo che ha fatto la sua prima apparizione nelle edicole oltre vent'anni fa non abbia perso nulla della sua freschezza, della sua forza immaginifica ed emotiva.
E' una storia perfetta sotto tutti i punti di vista, ma forse ciò che mi colpisce di più ogni volta che la rileggo è la sintesi perfetta raggiunta tra i testi di Scalvi ed i disegni di Casertano.
E poi c'è il ritmo.
Questa storia, come molte altre del "primo" Dylan Dog, è dotata di un ritmo straordinario nella narrazione, al cui confronto molti fumetti "contemporanei" appaiono macchinosi, lenti, obsoleti.
Ed il ritmo è tutto (o quasi tutto) in una storia.
16.4.07
Ferite.
Erano i primi di agosto dello scorso anno, tornavo da un paio di giorni di mare.
Al momento di scendere dall’aliscafo, un po’ un mio movimento sbagliato, un po’ l’inciviltà della gente che vuol salire su un mezzo dal quale tutti stanno scendendo, un po’ il mare non proprio calmissimo e mi sono ritrovato con l’alluce del piede sinistro schiacciato sotto una di quelle scalette mobili usate per far scendere i passeggeri una volta attraccati al porto.
Dolore lancinante, senso di vuoto allo stomaco e qualche imprecazione passata in rassegna silenziosamente.
Tornato a casa scopro che la situazione è meno grave di quanto temessi: l’alluce non si è fratturato, riesco a piegarlo, però è tutto nero alla base dell’unghia, che si è incrinata provocando una ferita che non smette di sanguinare.
Pulisco la ferita e poi la disinfetto.
I primi giorni il ditone brucia molto, camminare dopo un po’ risulta faticoso ed ogni volta che tolgo le scarpe e scopro il piede sinistro mi ritrovo di fronte un alluce nero e sporco di sangue.
Passano i giorni.
Camminare non fa più male.
La ferita continua ad aprirsi, qualche volta, ma ci ho fatto l’abitudine e quasi mi sorprenderebbe vedere l’alluce di nuovo sano, l’unghia non più spezzata e nera, i bordi non più spruzzati di rosso.
Passano i mesi.
Niente più sangue.
Niente più lividi.
L’unghia spezzata è finalmente caduta, facendo spazio ad una nuova di zecca.
La ferita si è risanata.
P.S. Sì, lo so… leggere di unghie spezzate, di dita gonfie e livide non è proprio il massimo, ma d’altronde non è di questo che si stava parlando, si era capito vero?
15.4.07
12.4.07
Prossimamente su questi schermi (2).
"Mi sposerò".
C’è differenza tra l’affermare “mi sposerò” e il dire “ti sposerò”?
Sì.
Ed è pure bella grossa.
Dirò di più.
Tra queste due affermazioni apparentemente uguali passa tutta la differenza del mondo.
Ma andiamo con ordine.
C’è un momento, che può variare a seconda dei casi tra i 28-29 anni ed i 31-32 anni, in cui molte donne decidono che è giunto il momento di sposarsi.
Non importa esattamente con chi.
Questo è un fattore del tutto secondario rispetto alla scelta che stanno compiendo.
Interrompono tutto quello che stanno facendo, lavoro/studio/divertimento, si fermano, guardano l’orologio e decidono che è giunta l’ora di fare il grande passo.
Poi lo comunicano: “ah… sapete… ho deciso che presto… mi sposerò”.
“Scusa, ma con chi? Non è che mi pare un dettaglio poi così secondario…”
“Ah… ma che importa? L’importante è che trovi in fretta la persona giusta!”
“…”
Ok, fermiamoci un attimo.
Non voglio in questa sede (anche se l’argomento è piuttosto ghiotto…) entrare nel merito delle ragioni preponderanti che spingono a questa decisione: fisiologiche, economiche, bisogno di stabilità affettiva e via di seguito.
Mi limito solo a notare che, per quanto vengano ammantate sotto un velo di sfavillante romanticismo, a conti fatti di romantico hanno davvero ben poco…
Ma non è questo il punto.
Il punto è: è logico decidere prima di sposarsi e poi, soltanto poi, decidere con chi compiere questo passo?
Io credo di no.
L’ordine naturale delle cose vorrebbe che prima ci si innamorasse e poi, soltanto poi, si decidesse se sposarsi con la persona che hai al tuo fianco.
La scelta giusta è quella di chi dice “ti sposerò”, non “mi sposerò”.
Perché altrimenti davvero si ribalta il senso di tutto.
L’amore non è più causa.
Ma effetto.
Non è più il centro di tutto.
Ma solo il buco del culo del mondo.
E così succede che ci ritroviamo a matrimoni dove i sorrisi diventano sempre più di circostanza.
Il riso fa sempre più male.
Le pacche sulle spalle pesano sempre di più.
11.4.07
Chiudere i conti.
Ricordi.
Tutti ne abbiamo.
Alcuni sono piacevoli, altri dolorosi.
Alcuni vorremmo conservarli per sempre, altri vorremmo che ci lasciassero in pace.
Ricordi.
Tutti ne abbiamo.
A volte li cerchiamo con la lanterna della memoria, selezionandoli accuratamente per rifugiarci dentro di essi
Altre volte sono loro a vengono a farci visita, quando meno ce lo aspettiamo.
Per colpirci alle spalle.
Ricordi.
Tutti ne abbiamo.
A volte ci spingono ad andare avanti.
Altre ci costringono a guardare indietro.
Altre ancora ci paralizzano in frammenti di tempo da cui non riusciamo ad uscire.
Ricordi.
Sono sorrisi che vorremmo rivedere.
Sono persone che vorremmo riabbracciare.
Mani che vorremmo tornare a stringere.
Occhi in cui vorremmo tornare a perderci.
Qualcuno ha detto che non c’è cosa più difficile che chiudere i conti col proprio passato.
Perché il passato è una porta socchiusa che non si può mai chiudere completamente.
È vero.
Ma, anche se difficile, dobbiamo provare a farlo.
Perché davanti abbiamo strade da percorrere.
Ed altre porte da aprire.
E pazienza se, nel farlo, ne lasceremo qualcuna socchiusa dietro di noi, dalla quale continuerà a tirare vento.
Sarà un rischio che accetteremo di correre.
9.4.07
L'Isola.
L'Isola mi comunica serenità.
Quando sto sull'Isola mi sento bene.
In pace con me stesso e con il (mio) mondo.
Mi piace la sensazione di lasciare casa per andare in un posto in cui posso sentirmi, in qualche modo, a casa.
L'Isola mi protegge.
E' il luogo perfetto per racogliere i pensieri e poi lasciarli andare, liberi di correre.
Liberi di vagare.
L'Isola è spoglia.
Scarna.
Essenziale.
E' povera di attrattive.
Non ha nulla di sfavillante.
Non ti abbaglia.
Ed è per questo che è meglio di tanti luoghi (e di certe persone...)
L'Isola non t'inganna, perché si offre per quello che è, sai cosa puoi trovarci e cosa no.
Ed è per questo, proprio per questo, che non ti delude mai.
A differenza di tanti luoghi.
E di certe persone.
7.4.07
Lo Schermo Sbagliato (2).
“IL CINEMA AMERICANO NON È PIÙ CAPACE D’INFLUENZARE IL NOSTRO IMMAGINARIO”.
Ci eravamo salutati con questa frase, ricordi?
Bene.
Ora è il momento di precisarne il senso.
Per farlo, però, dobbiamo fare un piccolo passo indietro.
E non solo nel senso che andiamo a vedere cosa c’è dietro questa frase.
No, andiamo proprio indietro.
Indietro nel tempo.
È il 1982, ho circa quattro anni ed i miei mi portano al cinema.
Il film che mi portano a vedere è E.T. di Steven Spielberg.
Credo che l’abbiamo visto tutti, prima o poi.
Anche tu, no?
Mentre lo guardo, avverto qualcosa, qualcosa di forte.
Una sensazione mai provata prima.
È magia.
È la magia del cinema: la sala buia, la luce proveniente dalle immagini sullo schermo, la sensazione di vivere un’esperienza più grande di quella che puoi vivere nella vita di tutti i giorni.
Le parole non riescono a descriverla bene, perché il cinema è fatto, prima ancora che di parole, di volti, di sguardi, di emozioni, di immagini.
Ecco, è un’immagine che ci serve per capire meglio ciò che intendo dire.
Dobbiamo trovare un’immagine.
Non occorre pensarci molto.
L’immagine è forte, ed è ben presente nella mia testa.
Non so tu, ma io, se devo scegliere un’immagine che rappresenti il cinema, l’essenza del cinema, non ho alcun dubbio.
Scelgo questa:
La luna alta nel cielo ad illuminare la notte, una bicicletta che le passa davanti, in volo, sospesa nell’aria.
Ecco, quando penso al cinema, penso ad immagini come queste.
Sei lì davanti allo schermo ed improvvisamente diventi piccolo piccolo.
Sei solo un puntino di fronte all’immensità di quello che accade sul Grande Schermo.
Che è tale perché, appunto, è Grande.
È più grande di te.
E tu ne sei travolto, perché lì, sullo schermo cinematografico, succede qualcosa di grandioso, qualcosa di enorme, qualcosa, come dicono gli americani, di più grande della vita (“bigger than life”).
Questa è l’essenza del cinema.
Il resto può esserci o meno, ma se il cinema perde la capacità di faci sognare, di trasportarci in qualcosa di più grande delle nostre esistenze quotidiane, può anche portarci buoni film, ma ha comunque smarrito la sua essenza.
Ha perso la magia.
“IL CINEMA AMERICANO NON È PIÙ CAPACE D’INFLUENZARE IL NOSTRO IMMAGINARIO”.
Dobbiamo arrivare a capire cosa c’è dietro questa frase.
Un primo passo lo abbiamo fatto.
Ti ho mostrato cosa intendo quando parlo di capacità del cinema di influenzare il nostro immaginario.
Come? Non ti è ancora chiaro?
…ok. Ora faccio qualche altro esempio, così ci intendiamo meglio.
Ci spostiamo solo di qualche anno in avanti.
Torniamo al cinema ed andiamo a vedere questo film:
L’hai visto, no?
Impossibile che tu non lo abbia visto e se non l’hai ancora fatto, beh, è ora che tu corra ad affittarlo in DVD!
Sei ancora lì? Cosa aspetti? Vai, forza!
Magari vacci scorrazzando su uno skate, proprio come il mitico Marty Mc Fly!
Ecco: Marty Mc Fly che, in piedi sul suo skate, si aggrappa da un auto all’altra per tentare (inutilmente!) di arrivare a scuola in ritardo.
Un’altra bella immagine, magari non forte come quella di E.T., che ci spiega come il cinema americano di quegli anni fosse in grado di influenzare il nostro immaginario.
Chi di noi, dopo aver visto Ritorno al Futuro, non moriva dalla voglia di comprarsi uno skate e provare a fare quello che faceva Mc Fly?
Sì, perché influenzare il nostro immaginario, significa anche questo.
Farci sognare.
Nel senso più vero del termine.
Tutti, dopo aver visto quel film, volevamo passare a bordo di uno skate da un auto in corsa all’altra.
Tutti, dopo aver visto Ritorno al Futuro, sognavamo di poter un giorno salire a bordo di una De Lorean volante e viaggiare nel tempo per rimediare ad errori passati e futuri.
Quello, sì, era cinema capace di influenzare il nostro immaginario.
Ed anche questo, lo era:
Dopo l’uscita nelle sale de I Predatori dell’Arca Perduta e di Indiana Jones e il Tempio Maledetto, a chi mi chiedeva cosa avrei voluto fare da grande, rispondevo, con fare stra-sicuro: l’archeologo.
Non avevo dubbi.
Volevo diventare archeologo.
Tutti volevano diventare archeologi.
E perché, tutt’a un tratto un mestiere così faticoso, pieno di sacrifici, fatto di libri ammuffiti, di ricerche faticose, di sudore e di polvere era diventato il sogno mio e di tanti miei coetanei?
Perché, per noi, l’archeologo era come il buon vecchio Indy.
Donne, tesori, fascino a volontà, viaggi in giro per il mondo, emozioni, pericoli di ogni genere.
Per noi la parola archeologo era diventata sinonimo di avventuriero e poco importava che la realtà fosse completamente diversa.
Perché il cinema, ancora una volta, aveva dimostrato di saper fare bene (alla grande direi…) il proprio lavoro.
Aveva colpito la nostra immaginazione.
Ora, facciamo un salto in avanti e torniamo ai giorni nostri.
Se cerco un’immagine come quella di E.T. o di Ritorno al Futuro o di Indiana Jones, per quanti sforzi faccia, proprio non riesco a trovarla.
E sai perché?
Perché è questo che manca al cinema americano degli ultimi quindici anni (e forse anche qualcosa in più…): la capacità di colpire la nostra immaginazione.
Di colpirla ed, in qualche modo, influenzarla.
“IL CINEMA AMERICANO NON È PIÙ CAPACE D’INFLUENZARE IL NOSTRO IMMAGINARIO”.
E così siamo tornati al punto di partenza e ti ho spiegato, spero in maniera chiara, cosa intendo con questa frase.
Come?
Dici che non è così? Non è vero che il cinema non colpisce più la nostra immaginazione?
Cosa?
Spider-Man.
Harry Potter.
Il Signore degli Anelli.
… … …
Sì, forse hai ragione, questi film possono essere per le nuove generazioni ciò che i film che ho citato in precedenza sono stati per la mia.
Però c’è una differenza notevole tra i film che hai citato tu e quelli che ho citato io.
Provo a mettertela giù così.
“IL CINEMA AMERICANO DA SOLO NON È PIÙ CAPACE D’INFLUENZARE IL NOSTRO IMMAGINARIO”.
Hai notato?
Ho aggiunto qualcosa alla frase.
Sembra che non cambi molto, ma invece cambia tutto.
E la prossima volta ti spiegherò perché.
E ti spiegherò anche perché gli esempi che hai fatto sono sbagliati.
Prima di salutarti, ti lascio con un indizio, per farti capire da cosa partiremo la prossima volta.
È una parola strana, inusuale quando si parla di cinema.
Ma io la trovo perfetta per quello che ci serve.
Ci aiuterà a capire meglio ciò di cui andremo a parlare.
Sì, perché la prossima volta parleremo di “AUTOCTONIA”.
5.4.07
Lo Schermo Sbagliato (1).
Ciao!
Rubo solo un paio di minuti del tuo prezioso tempo.
Volevo dirti che sotto l’etichetta “Lo Schermo Sbagliato” da oggi troverai una serie di riflessioni che andranno a comporre, alla fine, un unico saggio.
Come?!
La parola “saggio” non ti ispira per niente?
Allora cambiamola.
Fammici pensare…
…
…che ne dici di “viaggio”?
Va meglio?
Direi di sì… e mi sembra anche più in tema col nome di questo blog.
E poi, in fondo, di questo si tratterà.
Di un breve viaggio.
Proprio così: faremo un viaggio per capire dov’è andato il cinema americano negli ultimi dieci-quindici anni.
E dove si sta dirigendo.
E, soprattutto, cercheremo di capire perché, se siamo in cerca di buone storie e personaggi memorabili, sbagliamo ad andare a fare la fila ai botteghini delle multi-sale.
Allora sei pronto?
No, non servono conoscenze particolari.
Basta aver visto un po’ di film, anche soltanto quelli più famosi, ed aver dato uno sguardo alle serie-tv di ultima generazione.
Anche se ti è capitato di guardare solo di sfuggita qualche puntata delle serie più viste degli ultimi tempi tipo C.S.I. e DR. HOUSE va più che bene.
Aver visto qualche film ed aver dato un’occhiata alle serie televisive più famose.
Basta.
Tutto qui.
Facile, vero?
Bene, allora possiamo cominciare.
Partiamo con una prima riflessione, la butto lì così puoi pensarci un po’ su e poi ne parliamo con calma la prossima volta.
Si potrebbe riassumere in una frase che suoni più o meno così:
“IL CINEMA AMERICANO NON È PIÙ CAPACE D’INFLUENZARE IL NOSTRO IMMAGINARIO”.
(1-continua)
Senz'amore
Nuova recensione (la terza!) sul sito ComicUs. E' stata anche, finora, la più difficile da scrivere: proprio non ne voleva sapere di entrare nel limite di battute prefissato...
Stavolta si tratta di un western scritto da uno dei miei autori di comics preferiti, Brian Azzarello e disegnato superbamente da Marcelo Frusin.
Ah, dimeticavo... la recensione si può leggere QUI.
4.4.07
Sexy.
I capelli tagliati troppo corti non sono sexy.
La minigonna è sexy.
Ma una gonna che si fermi un po’ più su delle ginocchia può esserlo di più.
I tatuaggi troppo grandi non sono sexy.
Nelly Furtado è sexy.
Le camicie non sono sexy.
Le camicette sono sexy.
I pantaloni hip-hop non sono sexy.
I pantaloni sono sexy, ma solo raramente.
I jeans sono sexy, quasi sempre.
Un tailleur può essere sexy. Purché non sia una di quelle cose a quadrettoni. Quel tipo lì non è affatto sexy.
Il vedo non vedo è sexy.
Il troppo coperto non è sexy.
Ma neanche il troppo scoperto lo è.
Le spalle scoperte d’estate sono sexy.
L’estate è sexy.
Anche l’inverno può essere sexy, in certe circostanze.
Le scarpe da ginnastica non sono sexy.
La ragazza che siede al palazzetto nella fila sotto la mia, due-tre sediolini più in là a sinistra, è sexy.
La tuta è la cosa meno sexy dell’universo.
Halle Berry, nella foto qui su, beh… lei è SEXY.
3.4.07
What I've Done
E' tempo di ritorni per diversi gruppi musicali in vista delle uscite discografiche pre-estive .
Stavolta è il turno dei Linkin Park con un pezzo che, come nel loro stile, unisce melodie vocali, suoni elettronici e chitarre elettriche.
Bello il video che riassume oltre un secolo di errori ed orrori.
2.4.07
Forma & Sostanza.
Ieri sera ho visto "Centochiodi" del "maestro" Ermanno Olmi.
Un umile consiglio: evitatelo.
Se qualcuno vi propone di andarlo a vedere, inventate qualsiasi scusa, plausibile o meno non importa, ma risparmiatevelo.
Ci sono 1001 modi migliori al mondo per trascorrere un'ora e mezza della vostra vita.
E' recitato da un gruppo di dilettanti allo sbaraglio degni della Corrida, probabilmente messi lì in modo che Raz Degan risulti l'Al Pacino della situazione.
E' scritto peggio: i dialoghi sembrano usciti dalla penna di Topo Gigio (con tutto il rispetto per Topo Gigio...).
Però, mistero dei misteri, all'uscita del cinema la maggior parte degli spettatori era più che soddisfatta della visione.
"Bellissimo".
"Un capolavoro".
"Particolare ma bello" il giudizio peggiore che si voleva ascoltare.
Possibile che solo a me e a pochi altri 'sto film abbia fatto schifo?
Ora, io capisco (almeno in parte) quello che il regista ha voluto dire e non entro nel merito di ciò.
Ma è possibile che, per dire cose anche importanti, si debba scegliere una messa in scena così scadente?
E' possibile che il messaggio, i significati e tutto il resto debbano prevalere sulla storia, sulla recitazione, sulla fotografia?
In altri termini, il cinema può essere fatto solo di "sostanza"?
Può dimenticarsi del tutto "la forma?
Io credo di no e la visione di questa pellicola conferma la mia idea.
Credo che i film siano fatti di tante cose: storia, immagini, regia, attori, idee, musica, e tanto altro...
Credo che sia giusto che certi film ti facciano riflettere, ti diano da pensare, ma che questo non possa prescindere da un punto fondamentale: un film, mentre lo guardi, ti deve emozionare.
I migliori film sono quelli in cui il connubio tra spettacolo (forma) e contenuti (sostanza) è perfetto.
Quando c'è squilibrio tra le due componenti ("è troppo leggero!", "è troppo pesante!") possono venirne fuori film inperfetti ma interessanti.
Quando, come in questo caso, è COMPLETAMENTE ASSENTE una delle componenti (quella formale), il film può avere tutti i contenuti di questo mondo.
Ma resta un brutto film.
Soltanto un brutto film.
1.4.07
Makes Me Wonder
Dopo tre anni di silenzio tornano i Maroon 5.
Il loro "Songs About Jane" è stato uno dei cd rivelazione degli ultimi anni: uno di quei rari dischi in cui tutte le canzoni sono belle, dalla prima all'ultima.
Anche questo singolo, che anticipa il nuovo album, ha la freschezza, il sound ritmato e la voce alla Stevie Wonder del front-man Adam Levine, che hanno caratterizzato i precedenti successi della band.