23.9.08
Quali sono le tue sigle?
Una delle prime domande che mi hanno fatto appena sono arrivato nello studio dove lavoro attualmente è stata “Quali sono le tue sigle?”
Confesso che all’inizio, di fronte a questa domanda, sono rimasto piuttosto interdetto.
Cosa vorranno sapere? – Mi sono chiesto.
Possibile che a degli avvocati interessi conoscere quali sono le mie sigle di cartoni animati preferite? – Continuavo a domandarmi, vittima di un’evidente equivoco.
Poi mi hanno spiegato.
Le sigle non erano quelle simpatiche canzoncine che hanno rallegrato la nostra adolescenza (e che ancora adesso quando sentiamo scatenano in noi reazioni inconsulte), ma, molto più semplicemente, le mie iniziali.
Sì, perché nello studio dove lavoro siamo tutti identificati con delle sigle.
Qualunque cosa tu faccia, che si tratti di ordinare un panino, di partecipare a un’udienza, di scrivere un atto o di mandare una mail, devi metterci sotto le tue sigle.
Ma qual è lo scopo delle sigle?
Ufficialmente sono un modo per mettere ordine: evitare di confondere il proprio panino con quello di un altro, individuare più velocemente chi conosce bene una determinata pratica.
Ufficiosamente sono un simpatico modo per mettertelo nel culo.
Sì, perché appena viene scoperto un errore in udienza, una svista in un atto, o un destinatario di troppo in una mail, la domanda che irrompe nell’aria è “di chi sono le sigle?”
Ora, intendiamoci, è perfettamente comprensibile che in una struttura di venti-trenta persone ci sia una divisione di compiti e, di conseguenza, ognuno si assuma la responsabilità di quello che fa.
Se così non fosse regnerebbe il caos.
Infatti non contesto l’idea e il sistema delle sigle (per quanto mi dia un certo fastidio dovermi firmare lc e non luca…)
A darmi fastidio è l’idea che, appena scoperto un errore, la prima domanda che viene fatta non è “cosa si può fare per rimediare?” Ma, come già detto, “di chi sono le sigle?”
A me quest’idea che anziché cercare di risolvere un problema si debba aprire una caccia al colpevole mi sembra una cosa fuori da ogni di logica.
Un’inutile perdita di tempo.
Anzi, a dirla tutta, mi sembra una gran cazzata.
Firmato lc
21.9.08
Cambio di mentalità.
Può un post cambiarti la vita?
Ad essere sinceri, credo proprio di no.
Però credo che a volte può servire a riflettere (ed a far riflettere) su certi atteggiamenti, su certe convinzioni, mettendole in discussione.
Molti dei primi post che ho scritto nascevano da questa intenzione.
Oltre che dall’esigenza di camminare più comodo, liberandomi dai classici sassolini nelle scarpe.
Poi ho scritto un post.
Che nasceva dalla constatazione che certi miei atteggiamenti apatici e lamentosi non potevano restare immutati per sempre.
Il post era questo.
Dietro quel titolo volutamente spaccone e provocatorio c’era un’esigenza di cambiamento che si era messa a puntare i piedi.
E che non aveva nessuna voglia di restare inascoltata.
Da quando ho scritto quel post è passato un po’ di tempo, ma posso dire che scriverlo, e ritornarci su, ogni tanto, per rileggerlo, mi è servito.
La sera, quando torno a casa, dopo una giornata lavorativa di merda, non mi lamento più.
Penso solo a come rendere il giorno successivo migliore.
Quando sento qualcuno che inizia la solita tiritera su quanto siamo pagati poco, gli dico – Ok. Vero. Hai ragione. E adesso? Come la risolviamo ‘sta cosa? Vogliamo farci i pompini a vicenda su quanto è girato male per la nostra generazione o vogliamo rimboccarci le maniche e vedere cosa c’è da fare per migliorare la situazione?
Quando mi viene detto che siamo sfigati con le donne e che per trovare quella giusta dobbiamo andare chessò in Brasile o a Cuba, penso – Certo, potevamo essere più fortunati. Ma non sarà che qualcosina l’abbiamo sbagliata anche noi? Che magari abbiamo inseguito le donne sbagliate? Che ci siamo tuffati nelle situazioni sbagliate? E poi, diciamocela tutta: Brasile, Cuba o qualche altra località possono essere un palliativo… non certo la cura.
Insomma, se c’è una cosa che mi è chiara in questo momento è che “se non sei parte della soluzione, allora sei parte del problema”.
E che se non ci svegliamo e ci diamo da fare, rimboccandoci le maniche, finiremo come quei vecchi che passano le giornate al bar dello sport a prendersela con l’arbitro.
Io ho cambiato mentalità (o almeno ci sto provando..).
E voi?
Cosa aspettate a farlo?
18.9.08
La nuova grafica del blog...
2.9.08
Facebook e la ricerca del tempo perduto
Mi sono sempre fidato poco delle conoscenze fatte attraverso la rete.
E di chi colleziona amici come fossero figurine.
Per questo quando mi hanno invitato ad iscrivermi su Facebook, prima, ho usato risposte vaghe tipo “Magari nei prossimi giorni”. “Forse”. “Chissà”.
Poi una volta iscritto, mi sono chiesto (e credo di non essere stato il solo) “Ma a che serve ‘sta stronzata?”
Infine c’era quel dettaglio terribile.
Quelle liste di amici, ognuno con la propria foto formato tessera, rigorosamente in ordine alfabetico, tutti in fila uno dopo l’altro.
Proprio come delle fottute figurine!
E allora ho pensato che era il caso di tirarsi fuori. “Cazzo! Abbi un po’ di coerenza, almeno per una volta!”.
Ma niente da fare.
Ormai c’ero finito dentro fino al collo.
Era troppo tardi.
Avevo scoperto la funzione “cerca”, lì, in alto sulla sinistra.
E, attraverso quella piccola lente di ingrandimento, avevo afferrati il senso ultimo di Facebook (beh, confesso che forse ci ho messo effettivamente un po’ troppo…)
Che non è solo né tanto quello di tenersi in contatto con la gente che frequenti (o che frequenterai).
Ma è, soprattutto, quello di ritrovare volti, nomi, persone che, in un modo o nell’altro, hanno fatto parte del tuo passato.
Che sono state parte della tua vita.
Cercare la ragazzina che ti piaceva alle elementari.
Scovare il gatto che hai abbandonato dietro l’angolo perché tentava di strapparti gli occhi con le unghie.
Ritrovare i tuoi vecchi compagni delle medie.
Vedere che fine hanno fatto, che faccia hanno, dove vivono, come se la passano è un modo straordinario di viaggiare nel tempo stando fermi davanti allo schermo del Mac.
È un mezzo semplicissimo per andare alla ricerca del tempo perduto.
31.8.08
Fotogrammi di una vacanza.
L’arrivo a Malaga.
Perché gli inizi sono sempre migliori dei finali.
E perché l’hotel Ibis con la hall/sala colazione che si affaccia sulla superstrada fa molto “on the road”.
Il chiringuito sul lungomare di Marbella.
Una vera rivelazione.
Relax, cibo genuino e la gestione familiare di Donna Belén e Antonio.
Il “Kebab-Surf” a Tarifa.
L’equivalente arabo del cheeseburger ed uno degli sport simboli dell’American Dream si incontrano per dimostrare che la fusione tra oriente ed occidente è possibile.
PS in realtà ‘sto “Kebab Surf” era sempre chiuso. Mi sa che la fusione non ha funzionato granché…
Uno dei tanti “Starbuck-Coffee” a Siviglia.
Perché lo “Starbuck-Coffee” resta uno dei miei posti preferiti, come ho già scritto qui.
Cosa aspettano ad aprirli in Italia?
L’oracion del torero negli spogliatoi dell’arena di Siviglia.
I toreri uccideranno anche un bel po’ di bestie con le corna ma, come ha tenuto a sottolineare la guida, sono molto cattolici.
Mah!
Il semaforo col countdown.
Una delle invenzioni più ansiogene della storia.
Però con l’innegabile merito di farti sentire Jack Bauer per il solo fatto di attraversare la strada.
Scusate se la foto è un po’ mossa, ma mi sono reso conto in giusto in tempo che mancavano solo quattro secondi prima di fare la fine di Willie il coyote in uno dei tanti episodi in cui finiva sotto un rullo compressore.
COMING SOON: Facebook e la ricerca del tempo perduto
Perché gli inizi sono sempre migliori dei finali.
E perché l’hotel Ibis con la hall/sala colazione che si affaccia sulla superstrada fa molto “on the road”.
Il chiringuito sul lungomare di Marbella.
Una vera rivelazione.
Relax, cibo genuino e la gestione familiare di Donna Belén e Antonio.
Il “Kebab-Surf” a Tarifa.
L’equivalente arabo del cheeseburger ed uno degli sport simboli dell’American Dream si incontrano per dimostrare che la fusione tra oriente ed occidente è possibile.
PS in realtà ‘sto “Kebab Surf” era sempre chiuso. Mi sa che la fusione non ha funzionato granché…
Uno dei tanti “Starbuck-Coffee” a Siviglia.
Perché lo “Starbuck-Coffee” resta uno dei miei posti preferiti, come ho già scritto qui.
Cosa aspettano ad aprirli in Italia?
L’oracion del torero negli spogliatoi dell’arena di Siviglia.
I toreri uccideranno anche un bel po’ di bestie con le corna ma, come ha tenuto a sottolineare la guida, sono molto cattolici.
Mah!
Il semaforo col countdown.
Una delle invenzioni più ansiogene della storia.
Però con l’innegabile merito di farti sentire Jack Bauer per il solo fatto di attraversare la strada.
Scusate se la foto è un po’ mossa, ma mi sono reso conto in giusto in tempo che mancavano solo quattro secondi prima di fare la fine di Willie il coyote in uno dei tanti episodi in cui finiva sotto un rullo compressore.
COMING SOON: Facebook e la ricerca del tempo perduto
13.5.08
Credo.
Credo nella magia del buio di una sala cinematografica.
Credo nel fattore x.
Credo che gli sceneggiatori di Lost non sanno dove andare a parare. E, se lo sanno, non è un gran bel posto.
Credo nella musica.
In quella dei Coldplay credo ancora di più.
Credo che tutte le idee migliori che vediamo al cinema o in tv ultimamente le hanno già avute i fumettisti, un bel po’ di anni fa.
Credo negli sguardi.
E nei sorrisi.
Credo nei dialoghi di Elmore Leonard.
Credo che il detto parenti serpenti sia più vero del fatto che mi chiamo Luca ed ho trent’anni.
Credo nelle colonne sonore di John Williams.
Credo nel silenzio di chi sa ascoltare. Di chi sta ad ascoltare.
Credo in Jack Bauer.
Credo in chi non perde tempo a lamentarsi ma si rimbocca le maniche.
Credo che il Charlie Parker dei romanzi di John Connolly sia uno dei più bei personaggi usciti dalla penna di un romanziere.
Credo che i ricordi possono fare molto male
Credo negli anticipi di Santacroce, negli scatti di Lavezzi, negli inserimenti di Hamsik.
Credo nel cinema e nella musica degli anni ottanta.
Credo nelle donne capaci di farti perdere la testa.
Credo nella luce alla fine del tunnel.
Credo che due sia meglio di uno. Non sempre, ma quasi.
Credo nell’amicizia.
Credo che ho scritto anche troppe stronzate, per questa sera, e forse è il caso di finirla qui.
8.5.08
Finché c'è paggio c'è speranza
Lo ammetto: ho sbagliato.
Ho preso questa figura goffa, patetica, a tratti imbarazzante, con la lancetta dell’orologio perennemente a mezzogiorno e lo sguardo vuoto di chi ha intravisto (ma non toccato) la triforza, e l’ho idealizzata fino ad avvolgerla nell’alone del mito.
Poi ho sbagliato ancora.
Ho puntato l’indice contro la donna paggista.
Ho provato a comprenderne la psicologia tra crudeltà, indifferenza, una buona dose di egoismo e tanta superficialità.
Ho cercato di dare una scossa ai paggi di tutto il mondo (me compreso), nella speranza che comprendessero la loro triste condizione e provassero a mettersi alla ricerca della dignità perduta.
Ma ho soltanto perso tempo.
Al paggio tutto questo non interessa.
Il paggio vive di affetto e attenzioni non corrisposte.
Il paggio ci sguazza nello squilibrio del rapporto con la donna desiderata.
Il paggio gongola per un bacetto accennato, una mezza parola appena sussurrata e subito ritrattata, un messaggio che arriva tardi, non è quello che si aspettava, ma che sì, tutto sommato, non è poi da buttare.
Al paggio piace chiudere gli occhi e sognare.
Fa niente che quando li riapre la vista è offuscata dai lucciconi.
E così, anche se in ritardo, ho capito.
Che non è il paggio a non poter vivere senza la donna che brama.
che nove volte su dieci non avrà mai.
Ma è il contrario.
È la donna paggista a non poter fare a meno di un paggio.
Perché la donna paggista è poca cosa senza un paggetto al suo servizio.
Perché la donna paggista non è niente senza un paggetto o due che le ronzino intorno.
E non a caso dico “un” paggio e non “il” paggio.
Perché i paggi sono intercambiabili, come le ruote di una macchina, i versi di una canzone di Gigi D’Alessio, le lacrime nella pioggia.
E finché esisteranno paggi non avrà senso prendersela con le donne paggiste.
Perché vorrebbe dire puntare al bersaglio sbagliato.
Insomma, morto un paggio se ne fa un altro.
O, se preferite, il paggio è morto. Lunga vita al paggio!
6.5.08
The Dark Knight
Batman Begins aveva almeno due grandi meriti: quello di tentare un approccio realistico al genere supereroistico, riuscendo a suscitare interesse ancha tra i non appassionati del genere filmtrattodafumetto (soprattutto nella prima parte più incentrata sul viaggio iniziatico di Bruce Wayne mentra la seconda era più scontata e vicina agli altri film del genere); e quello di essere il primo film con il nome di Batman nel titolo ad essere realmente incentrato sulla figura dell'uomo pipistrello (laddove i primi due Batman, quelli diretti da Tim Burton, erano film incentrati sui nemici di Batman, il terzo era un ibrido più o meno riuscito tra la versione dark di Burton ed il telefilm degli anni 70, ed il quarto era una parodia, sia pure involontaria, che non sfigurerebbe tra gli sproof movie alla Scary Movie e affini).
Adesso arriva questo "The Dark Knight" con Heath Ledger nei panni di un Joker che appare, almeno dal trailer, per quello che realmente è: un clown violento e psicopatico e non il gigionesco personaggio interpretato da Jack Nicholson ed un Aaron Eckhart che ha il difficile compito di dare vita ad un personaggio complesso e ambivalente come Due Facce.
A garantire il tutto, la mano di Christopher Nolan, che non ha ancora sbagliato un film dal suo folgorante esordio con Memento.
Staremo a vedere.
Ah, dimenticavo, qui sotto l'ultimo trailer disponibile del film...
2.5.08
Coldplay-Violet Hill
Confesso che al primo ascolto mi ha lasciato parecchio perplesso.
Al secondo anche.
Al terzo ha cominciato a piacermi, ma continuava ad esserci qualcosa che non mi convinceva fino in fondo.
Poi ho capito.
Si tratta del ritornello.
Non c'è.
In effetti rispetto a In my place e Speed of sound ed in generale alla classica struttura delle canzoni cui siamo abituati manca un ritornello vero e proprio.
Adesso che ho accettato l'idea che i Coldplay sono tornati sulle scene dopo una lunga pausa con un singolo pressoché privo del ritornello posso dirlo: questa canzone è proprio bella.
E' veramente bella.
-So if you love me
Won't you let me know?-
27.4.08
23.2.08
21.2.08
Harry Potter E L'Emergenza Rifiuti in Campania.
Sono passati molti anni dall’ultima battaglia tra Harry Potter ed il temibile Lord Voldemort.
Il maghetto occhialuto ha appeso bacchetta e scarpa al chiodo e si è ritirato a vita privata.
Peccato che questa vita sia stata avara di soddisfazioni per lui: la moglie Hermione lo ha piantato per il Mago Forrest, ritenendolo sessualmente molto più dotato, e dei suoi tre figli, Jerry, Larry ed Harrison (conosciuto anche come Harry jr), nessuno ha scelto di seguire la perigliosa via che passa per Hogwarts.
Il primo ha infatti optato per una professione tanto umile quanto utile per la società: l’idraulico. E in men che non si dica è diventato il più bravo idraulico al mondo, capace di aggiustare lavastoviglie e sturare cessi con pochi e semplici tocchi – tanto che molti malignano sul suo conto, sostenendo che dietro tanta bravura si celi qualche arcana stregoneria…
Il secondogenito, Larry, ha avuto una fulminante carriera al McDonald’s dopo aver brevettato il panino più venduto di tutti i tempi: il McPotter! Gustosa carne di pantegana italoamericana condita con chili messicano clonato in laboratorio, maionese rigorosamente andata a male, un tocco di zenzero (che non guasta mai) più un ingrediente segreto prodotto quotidianamente da Harry Potter in persona.
Il più giovane, Harry jr, ha invece scelto la facile strada della vita da rampollo, continuamente fotografato sulle copertine dei magazine di mezzo mondo accanto a donne bellissime e famose come Paris Hilton, Rihanna, Gegia e Nadia Rinaldi.
§ § § §
Harry Potter è stanco e sconsolato, trascorre le giornate in solitudine a fumare erba sprofondato sulla poltrona del suo studiolo.
Eppure, un giorno, qualcuno bussa alla sua porta.
Il suono del campanello lo sveglia dal sonno profondo in cui lo aveva dolcemente condotto il marocchino che aveva acquistato due giorni prima per un bel gruzzoletto di sterline.
- Chi è? – Chiede Harry, ancora distratto dal sogno/ricordo/fantasia di atti libidinosi in compagnia di Hermione.
- Apri.
- Chi diavolo sei?
- Sono il commissario straordinario per l’emergenza rifiuti in Campania.
- Embé? Che cazzo vuoi da me?
- Non avrei mai voluto chiamarti, ma… Harry, abbiamo un problema!
- Ok. Aspetta un attimo che arrivo. Mica ci vuole la sciarpa a Napoli?
- Beh… in questo periodo fa un po’ freddo, ma…
- Fa niente che è giallo-rossa? Ho solo quella…
- …Ma no! Che devi fare con questa sciarpa?! A Napoli mica fa tutto ‘sto freddo…. Però la bacchetta sì, eh? Quella portala.
- E la scopa? Che faccio? La porto?
- Portala, portala…
20.2.08
Law & (dis)Order 1x01
Ovvero paura e delirio nella vita di un avvocato - Ep. 1 -
Se c’è un lavoro nel quale il tempo gioca un ruolo di primissimo piano, beh, è quello dell’avvocato.
Anni, mesi, giorni e talvolta ore scandiscono la vita di un processo.
Di più.
Anni, mesi e giorni determinano la vita (e la morte) di un diritto.
Almeno nella stragrande maggioranza dei casi.
Pensate ai diritti come a delle persone. Con una data di nascita. Ed una (ahinoi!) di morte.
O, meglio ancora - e per evitare di toccarci -, pensate ai diritti come a prodotti deperibili con tanto di data di scadenza stampata sull’involucro.
Ci siete?
Ecco, un avvocato alla resa dei conti non è altro che questo: un magazziniere che deve evitare che la roba che gli capita tra le mani diventi immangiabile e nociva.
Per questo la prima domanda che vi fa un avvocato – o meglio che dovrebbe farvi un buon avvocato – non appena avete finito di esporgli il vostro caso è: quanti anni fa è successo?
O: avete mandato una lettera?
O ancora: l’ha conservata la ricevuta di ritorno? (E magari un giorno parleremo di questa figura mitologica e di uno dei più grandi nemici di un avvocato, ovvero l’impiegato delle poste…)
Perché all’avvocato che voi abbiate torto o ragione, a conti fatti, interessa poco.
Se il diritto è prescritto, tutte le ragioni di questo mondo (e di altri mille) non vi basteranno.
Se non è prescritto, per quanto siano infinitesimali le vostre possibilità di vittoria, beh, allora… potete ancora farcela! - qualcuno direbbe “si può fare”, che poi altro non è che la versione italianizzata del famigerato tormentone dei Trettré “S’ po fa’… S’ po fa’…” Ricordate? –
Eppure il tempo e l’avvocato non sono nemici, come potrebbe sembrare a prima vista.
In fin dei conti i due, tra alti e bassi, litigi e ripicche, vanno a braccetto. Come una coppia che si prende e si lascia, si prende e si lascia, e alla fine si prende soltanto.
Perché un avvocato non può fare a meno del tempo.
E il tempo non può fare a meno di un avvocato - chi altri lo farebbe sentire così importante? -.
Perché i nemici di un avvocato sono ben altri - la parola CANCELLIERI vi dice niente? -.
E perché il tempo è una delle poche cose in grado di portare ordine nel caos - no non calmo, caos e basta - che è la vita di un avvocato.
Ma di questo parleremo un’altra volta…
(1-continua)
Ci sono due cose...
28.1.08
Come Jamie Foxx in "Collateral".
Se c’è stato un momento nella mia vita in cui ho sentito forte l’esigenza di mollare tutto e partire per andarmene in giro per il mondo, beh, quel momento è adesso.
Penso che se non viaggerò ora, che sono libero da vincoli, sarà difficile che potrò farlo più avanti, quando gli spazi per muoversi diventeranno, inevitabilmente, più stretti.
E così mi perdo a fissare tappe, tracciare linee, disegnare tragitti.
Europa. Stati Uniti. Oriente.
Mi interrogo sulla forma del bagaglio.
Su quello che potrò metterci dentro.
E, soprattutto, su ciò di cui potrò fare a meno.
E finisco col sentirmi come Jamie Foxx in “Collateral”, che abbassa l’aletta parasole del suo taxi, tira fuori la foto della località in cui sogna di andare e nella sua contemplazione trova confortevole rifugio.
Prima di rimettere in moto il taxi e tornare alla solita routine.
23.1.08
6.1.08
Tremenda simmetria.
"Ragno! Ragno!
Bruciante di luce.
Nella foresta della notte.
Quale mano od occhio immortale
può aver composto
la tua tremenda simmetria?"
C’è un qualcosa di perverso nel fatto che il tuo inserimento o la tua progressione nel mondo del lavoro debba passare necessariamente attraverso l’ok di chi ha un interesse uguale e contrario al tuo.
Mi spiego meglio: emergere come avvocato può voler dire sottrarre spazio a chi già ne ha.
Chi dovrebbe riconoscere le tue (presunte) doti e valorizzarle al massimo è la stessa persona che teme che tu possa diventare così bravo da portargli via, un domani, lavoro e successo.
Ma lo stesso può valere in altri campi: uno sceneggiatore di fumetti che legge i tuoi lavori e ne valuta le potenzialità rischia di concederti spazi che finiranno col restringere il suo.
Il professore o l’assistente universitario col quale collabori potrebbero tenerti confinato nell’angolo più angusto del loro staff piuttosto che farsi da parte e darti le chiavi della macchina.
E gli esempi potrebbero andare avanti all’infinito.
Non voglio discutere sulle ragioni che stanno dietro a questo meccanismo.
È sicuramente corretto che, in tutti i settori, si faccia un bel po’ di gavetta.
È senz’altro giusto che chi ha sudato e si è sbattuto per anni sia in una posizione di gran lunga migliore della tua.
Solo mi chiedo fino a che punto sia obiettivo il giudizio di chi, come dicevo prima, deve vagliare la bontà del tuo lavoro e farti crescere professionalmente a rischio di rimetterci sulla propria pelle.
A me sembra un po’ come se uno andasse da un tizio sposato da anni con una donna bella e affascinante e gli chiedesse: scusa, non è che ti leveresti dalle palle?
Sai com’è, tua moglie è una gran bella donna ed io vorrei farmici un giro…
Ti piacciono i fiori?
- Ah, giovanotto… di nuovo qui?
- Ehm… sì.
- Benissimo (fregandosi le mani).
Ma lo sai che a Roma i fiorai non dormono mai?
C’è stato un periodo, un paio d’anni e mezzo fa, in cui ero diventato un’autorità in materia di fiori.
Rose, orchidee, composizioni a tema e fiori da campo.
Se dovevo esprimere affetto, interesse o anche gratitudine ad una ragazza, lo facevo mandandole dei fiori.
Avete presente l’espressione “ditelo con i fiori”?
Beh, io ero l’incarnazione vivente di quella frase.
Di più.
Ero il sogno proibito dell’interflora.
Il Padoa-Schioppa dei conti in rosso del fioraio di via Kerbaker.
L’incubo degli addetti alla consegna fiori.
Quando un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile, l'uomo con la pistola è un uomo morto.
A guardare adesso, con un po’ di distacco, a quel periodo, mi rendo conto di essere andato un po’ sopra le righe, di avere, come dire, un tantino esagerato…
Credo però di aver capito la ragione di quegli slanci affettivi senza paracadute: quando una persona ti dice che tra te e lei non c’è altro da dire, mentre tu sei lì che vorresti dire (e fare) con lei ancora tanto significa che tu hai ancora la pistola carica (no, non in quel senso lì, o, almeno, non solo in quel senso lì), ma il tuo bersaglio è già lontano un miglio e non hai più alcuna chance di colpirlo.
In altre parole, e fuor di metafora, hai ancora un bel pò di affetto da dare e così finisci col manifestarlo a chi, anche solo con un bel sorriso, di quelli capaci di renderti la giornata migliore, riesce a conquistare la tua attenzione.
Che l’unico pericolo che senti veramente è quello di non riuscire più a sentire niente.
Eppure un po’ rimpiango quella fase.
Non stavo a pensare alle conseguenze delle mie azioni. Agivo, giusto o sbagliato che fosse, ma agivo.
Avrò anche esagerato un po’, ma l’ho fatto in buona fede.
Per dare qualcosa, non per prendere.
Anzi, a dirla tutta, mi sa che preferisco la fibrillazione emotiva di allora al torpore sentimentale che ha preso il sopravvento poi.
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